Già lu podes, si bi crèes, abdicare
Et lassare sos sùdditos in paghe;
Ma da-e ite ti ch'as a istretziàre,
Pro ti favorire su tou filiàghe?
No tenes rennu, nemmancu condaghe,
Terras o vassallos de isfruttare.
Àbdica si lu cheres, re fallidu,
Ma su rennu 'ostru bos at austidu.
🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Podes: puoi.
Crèes: credi.
Istretziàre: allontanare.
Filiàghe: piccola anguilla.
Condaghe: registro medievale sardo d'amministrazione.
Cheres: vuoi.
Austidu: abortito.
©suigante. Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante" Alcune proteste contro i Savoia, a Sassari, davanti al Tribunale ed in Piazza d'Italia. |
🆂 Dal sito https://torino.repubblica.it
- Il principale membro di Casa Savoia, Emanuele Filiberto, recentemente ha annunciato di voler abdicare in favore della figlia, Vittoria di Savoia.
🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- Casa Savoia è una tra le più antiche dinastie d'Europa, attestata sin dalla fine del X secolo nel territorio del Regno di Borgogna.
Nel XVI secolo i Savoia spostarono i propri interessi territoriali ed economici dalle regioni alpine verso la penisola italiana; agli inizi del XVIII secolo, a conclusione della guerra di successione spagnola, ottennero l'effettiva dignità regia, dapprima sul Regno di Sicilia (1713) e poi, a seguito di una permuta, su quello di Sardegna (1720).
Nel XIX secolo, con Carlo Alberto e soprattutto Vittorio Emanuele II di Savoia, il casato si pose a capo del movimento di unificazione nazionale italiano, che condusse alla proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861. Da questa data e fino al giugno del 1946, quando il referendum sulla forma istituzionale dello Stato sancì l'abolizione della monarchia in favore della repubblica, casa Savoia fu la famiglia reale d'Italia.
Durante il regime totalitario di Benito Mussolini, la dinastia ottenne formalmente con Vittorio Emanuele III le corone di Etiopia (1936) e di Albania (1939) in unione personale, e nel 1941, col duca Aimone di Savoia-Aosta, anche la corona di Croazia. Questi ultimi titoli cessarono tuttavia definitivamente nel 1945, con l'assetto internazionale seguito alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 1947 la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana dispose l'esilio degli ex re e dei loro discendenti maschi: nel 2002, in vista della cancellazione di tale disposizione, Vittorio Emanuele di Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto di Savoia giurarono per iscritto «fedeltà alla Costituzione repubblicana e al nostro presidente della Repubblica» e nel 2003 i discendenti maschi di re Umberto II poterono rientrare in Italia
🆂 Dal sito https://www.manifestosardo.org
- L’Isola del grande
verde, che fra il XIV e XII secolo a.C. fonti egizie, accadiche e ittite
dipingevano come patria dei Sardi shardana è sempre più solo un ricordo. La
storia documenta che l’Isola verde, densa di vegetazione, foreste e boschi, nel
giro di un paio di secoli fu drasticamente rasata, per fornire carbone alla
industrie e traversine alle strade ferrate, specie del Nord d’Italia. Certo, il
dissipamento era iniziato già con Fenici, Cartaginesi e Romani, che abbatterono
le foreste nelle pianure per rubare il legname e per dedicare il terreno alle
piantagioni di grano e nei monti le bruciarono per stanare ribelli e fuggitivi,
ma è con i Piemontesi che il ritmo distruttivo viene accelerato.
Iniziarono presto: 20 anni dopo avere preso possesso
dell’Isola, nel 1740 il re Carlo Emanuele III di Savoia aveva concesso al
nobile svedese Carlo Gustavo Mandell il diritto di sfruttare tutte le miniere
di Parte d’Ispi (Villacidro) in cambio di un’esigua percentuale sul
minerale raffinato; e gli aveva permesso di prelevare nelle circostanti foreste
il carbone e la legna per le fonderie, costringendo i comuni a vere e proprie
corvèe e distruggendo così il patrimonio forestale della regione.
Lo scempio era continuato anche quando miniere e
fonderie, scaduto il contratto trentennale di Mandell, furono gestite
direttamente dal regio governo. Anzi da allora la situazione si era aggravata,
perché le richieste di combustibile si erano fatte più pressanti e perentorie.
Furono bruciati persino i boschi della piana di Oristano per incenerire i covi
dei banditi mentre i toscani li bruciarono per fare carbone e amici e parenti
di Cavour, come quel tal conte Beltrami devastatore di boschi quale mai
ebbe la Sardegna, mandò in fumo il patrimonio silvano di Fluminimaggiore e
dell’Iglesiente.
Con l’Unità d’Italia infine si chiude la partita con una
mostruosa accelerazione del ritmo delle distruzioni, specie con il regno di
Umberto I a fine Ottocento. Scriverà Eliseo Spiga: «lo stato italiano promosse
e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide
e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa
un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese».
Mentre il poeta Peppino Mereu, a fine Ottocento, mette a
nudo la colonizzazione operata dal
regno piemontese e dai continentali, cui è sottoposta la Sardegna, proprio in
merito alla deforestazione: «[…] Sos vandalos chi cun briga e cuntierra /
benint dae lontanu a si partire / sos fruttos da chi si brujant sa terra […] Vile
su chi sas jannas hat apertu / a s’istranzu pro benner cun sa serra / a fagher
de custu logu unu desertu […]».
E Giuseppe Dessì, nel suo romanzo Paese d’ombre scrive: «La
salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la
Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare,
specialmente dopo l’unificazione del regno». Mentre Carlo Corbetta,
(scrittore lombardo della seconda metà del secolo XIX), in seguito a un viaggio
in Sardegna ed in Corsica, scrisse un’opera in due volumi, a proposito della
distruzione dei boschi e della deforestazione, scrive che «[…] la si
deve in massima parte agli speculatori e trafficanti di scorza che
col loro coltello scorticatore ne denudano i tronchi e grossi rami delle
elci e quercie marine e delle quercie comuni e la spediscono in continente ad
estrarne tannino per la conceria delle pelli e per le tinture […]».
Si tratta di un’analisi gravemente deficitaria. E’ vero
che le sugherete erano preda subito dopo l’Unità d’Italia (a partire
soprattutto dal 1865) di gruppi di commercianti che cercavano il tannino e la
potassa. Ma i veri responsabili che Corbetta non individua, sono ben altri: i
re sabaudi e i loro governi. Probabilmente Corbetta non voleva nè poteva
individuarli, essendo essi amici e contigui ai suoi sostenitori, Quintino Sella
in primis. Il suo viaggio in Sardegna era stato possibile proprio grazie
all’appoggio proprio di Quintino Sella. Questi, più volte Ministro delle
Finanze nel 1869 soggiornerà due volte in Sardegna in qualità di componente
della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni dell’isola.
Ma è soprattutto Gramsci, in un articolo sull’Avanti del
23 ottobre 1918, censurato e riscoperto 60 anni dopo, a denunciare la
devastazione ambientale e climatica, frutto della spoliazione e distruzione dei
boschi. Nell’articolo, intitolato significativamente Gli spogliatoi di cadaveri, individua fra questi gli
industriali del carbone: «[…] Essi scendono dalla Toscana e stavolta, il
lascito perla Sardegna è la degradazione catastrofica del suo territorio.
L’Isola è ancora tutta boschi. Gli industriali toscani ne ottengono lo
sfruttamento per pochi soldi. […] Ad un popolo in ginocchio anche questi
pochi soldi paiono la salvezza […]», scrive ancora Gramsci. «Così l’Isola di
Sardegna fu letteralmente rasa suolo come per un’invasione barbarica. Caddero
le foreste. Che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni
atmosferiche. La Sardegna d’oggi alternanza di lunghe stagioni aride e di
rovesci alluvionanti, l’abbiamo ereditata allora […]».