S'andalinu

Pro dare a sa criadura s’imparu
De ponner unu pe fattu-a s’attéru,
Pro chi su caminare appet jaru
Et chi no andet benuji-tettéru,
Puru pro aer da-e sas ruttas amparu,
B’est unu traste de linna, austéru;
Custu mi l’at dadu nonnu Chirìgu,
Fit su sou, nd’at tentu bonu-atturìgu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Andalinu: girello.
Criadura: bambino, neonato.
Imparu: insegnamento.
Pe: piede.
Benuju: ginocchio.
Tétteru: rigido.
Ruttas: cadute.
Amparu: protezione.
Traste: oggetto, utensile.
Linna: legno, legna.
Nonnu: padrino.
Attùrigu: utilizzo; anche incitamento, costringimento.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante".
Un angolo del museo "Casa Salaris" in cui si nota s'andalinu.

S'aìscu

Pro fagher su casu, in sa furchidda
Ponebéi custu traste, mannu-o minore.
D’onzi pastore lu tenet in bidda,
Ca faghet su fruttu de su sou suòre.
Bettat latte jagadu sa pubidda
Intro de-a issu, cun lestru fervore;
Pro latte in prus, b’at istampigheddos
Et abbatighende, faghet sos pischeddos.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Aìscu: scodella, ciotola; forma, recipiente in cui si comprime il formaggio.
Casu: formaggio.
Furchidda: forca a due rebbi.
Traste: utensile, arnese.
Mannu: grande.
Bidda: paese.
Suòre: sudore.
Bettat: butta, mette.
Jagadu: cagliato, coaugulato.
Pubidda: moglie, donna di casa, padrona.
Lestru: veloce.
Istampigheddos: buchetti.
Abbatighende: schiacciando, comprimendo.
Pischeddos: forme di formaggio.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante".
Un angolo del museo "Casa Salaris" in cui si notano sos aìscos.

Sa macchina pro cosire - Singer

1.
Nàschida-est a meidade-'e Ottighentos
Sa màcchina Singer, pro sos trapperis.
Copiénde de indùstria movimentos,
S’inventziòne-est impreàda fintz’a deris.
Ingranàggios movent sos istrumentos
Et tribagliénde si piénant raseris.
Un agu pigat et falat da-e chima
Pro cosire, istampende che-‘errina.

2.
Sa robba s’arrumbat a una banca,
A sa màcchina chi cosit aunida;
Una roda aggantzat, che farranca,
Una longa corrìa, bene tzinnida,
Chi girat, segundu-àsciada-’e anca,
Et podet cosire a s’infinida;
Bastet chi bi siet filu in s’ispòla
Et chi bona s’agattet sa cattola.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Cosire: cucire.
Meidade: metà.
Impreàda: usata.
Deris: ieri.
Tribagliénde: lavorando.
Raseris: rasieri; antica unità di misura, equivalente a circa 8000 mq e 80 kg di grano.
Pigat: sale.
Falat: scende.
Berrina: utensile che permette di praticare dei piccoli fori; succhiello.
Robba: stoffa.
Arrumbat: appoggia.
Banca: tavolo.
Farranca: artiglio.
Corrìa: striscia di cuoio, utilizzata per legare due pezzi di uno stesso oggetto; correggia.
Tzinnida: stretta; anche l’atto di dare una stretta alle redini dei buoi.
Agattet: trovi.
Cattola: scarpa, ciabatta.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Un angolo del museo "Casa Salaris" in cui si nota la macchina da cucire.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
La Singer Corporation è una delle più famose aziende produttrici di macchine per cucire. Fondata come IM Singer & Co. nel 1851 da Isaac Merrit Singer ed Edward Clark. Dal 1853 l'azienda cambia nome in Singer Manufacturing Company e nel 1963 in The Singer Company. La sede attuale si trova a La Vergne, in Tennessee, vicino Nashville.

Bùvera

Pro Anna Heilman 

Su Sonderkommando bi fit pensende
A fagher arrumpellu in su campu;
Issa cun bùvera fit tribagliénde,
Cando a conca l’est bénnidu lampu.
De perder sa vida no fit timende,
Tantu da-e Auschwitz no bi fit iscampu:
Cun bùvera sua furru ant derruttu,
A su mancu-in-cue no nd’ant prus alluttu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Bùvera: polvere da sparo.
Arrumpellu: ribellione, rivolta.
Tribagliènde: lavorando.
Bènnidu: venuto.
Furru: forno.
Derruttu: distrutto.
A su mancu: almeno.
Incùe: là.
Alluttu: acceso, infiammato.

Dal sito https://en.wikipedia.org
Una foto di Anna Heilman nel 1947.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
Anna Heilman (1928 - 2011), era una dei prigionieri sopravvissuti di Auschwitz, che complottò per far saltare in aria i crematori. Lei, insieme alla sorella maggiore (Estusia) e ad altre donne, ha contrabbandato polvere da sparo fuori dalla fabbrica di munizioni dell'Unione. Sono stati quindi in grado di passarlo da un membro all'altro fino a raggiungere il Sonderkommando (unità di lavoro composte da prigionieri dei campi di sterminio nazisti tedeschi).
Tra le donne coinvolte nella catena del contrabbando di polvere da sparo figurano Roza Robota (che aveva contatti diretti con gli uomini del Sonderkommando), Ala Gertner , Regina Safirsztajn , Rose Grunapfel Meth , Hadassa Zlotnicka, Marta Bindiger, Genia Fischer e Inge Frank. 
La famiglia viveva in un'area che divenne parte del Ghetto di Varsavia, proprio in fondo alla strada rispetto alla sede della ŻOB (Żydowska Organizacja Bojowa - Organizzazione combattente ebraica).
Anna faceva parte del movimento giovanile Hashomer Hatzair.
Quando iniziò la rivolta del ghetto di Varsavia, non era sicura se combattere o restare con i suoi genitori; alla fine ha scelto di restare con i suoi genitori.
Anna, Estusia e i loro genitori furono tra gli ultimi deportati dal ghetto di Varsavia, quando furono portati nel campo di concentramento di Maidanek, nel maggio 1943. I genitori furono immediatamente assassinati e le due sorelle furono deportate ad Auschwitz nel settembre 1943.
Nelle sue memorie online, Heilman afferma che è stata una sua idea contrabbandare la polvere da sparo al Sonderkommando. Una citazione dal suo libro di memorie online: "Da questa amicizia si sono sviluppate le idee di resistenza. Non posso dirvi chi l'ha iniziata... L'idea era cosa potevamo fare, ognuno di noi, per resistere? Ho pensato, "Stai lavorando al Pulverraum. Che ne dici di prendere la polvere da sparo?" Abbiamo cominciato a discutere dell'idea. La polvere da sparo era a portata di mano. Abbiamo pensato: "Possiamo usarla!" Qualcuno nel gruppo sapeva che il Sonderkommando stava preparando la resistenza. Abbiamo detto: "Diamo la polvere da sparo a loro!".
Hanno trovato molti modi per contrabbandare la polvere. Avevano delle tasche all'interno dei vestiti, dei nodi sul velo e talvolta anche della polvere sotto le unghie. Venivano regolarmente perquisite e lei raccontò che quando vedevano da lontano che sarebbero state perquisite, lasciavano cadere la polvere a terra e la mescolavano al terreno in modo che non potesse essere vista.
Estusia fu tradita quando Ala Gertner raccontò del complotto a un ufficiale delle SS con cui aveva stretto amicizia e di cui si fidava. Lei, Roza Robota, Regina Stafirstajn e Ala Gertner furono portate nel "Bunker" all'interno del campo principale e torturate per mesi. Ma durante tutto questo tempo non hanno mai fatto il nome di Anna. Hanno dato solo i nomi dei membri del Sonderkommando che erano già morti.
Il 5 gennaio 1945 furono impiccate Estusia, Regina, Ala e Roza.
Ciò avvenne solo due settimane prima che l'avanzata dell'Armata Rossa sovietica raggiungesse Auschwitz. L'intero campo femminile è stato costretto ad assistere alle esecuzioni. Su ordine diretto di Berlino, le donne furono giustiziate come combattenti della resistenza ebraica.
La strada per scrivere le sue memorie è stata piuttosto lunga. Nel 1991, dopo una cerimonia allo Yad Vashem per dedicare un memoriale a Estusia, Regina, Ala e Roza, Anna disse a suo genero, Sheldon Schwartz, di aver tenuto un diario polacco ad Auschwitz. Ad un certo punto è stato confiscato e distrutto durante una perquisizione; e ricreò l'intero diario a memoria in un campo profughi nel 1945. Sheldon convinse Anna a tradurre il diario in inglese e loro due lavorarono insieme per 10 anni; lei ha scritto e lui ha modificato. Il suo libro di memorie, Never Far Away: The Auschwitz Chronicles of Anna Heilman, è stato pubblicato nel 2001. Il libro ha vinto l' Ottawa Book Award nel 2002.
Anna Heilman è una delle protagoniste di Improbabili Eroi, un film del 2003 sulla resistenza ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale.

Caratzas

Pro Anna Còleman Ladd

De pedra et linna ant fattu faìnas
Chi sos annos, passende, lassant intrèas;
Ant balanzadu famas et sisinas,
Òperas chi mustrant artes et bidèas;
Ma che sas suas no ant sanadu ruìnas.
Anna, in logu, de gherra-a mossas feas
At dadu finittìa, chena nd'aer bantu:
Pro mutilados arte de refrantu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Caratzas: maschere.
Linna: legno.
Intrèas: intere.
Balanzadu: guadagnato.
Sisinas: soldi, monete da 5 centesimi.
Bidèas: idee.
Sanadu: guarito.
Ruìnas: rovine.
Feas: brutte.
Finittìa: termine, fine.
Bantu: vanto.
Refrantu: sostegno, difesa.

Dal sito https://it.wikipedia.org
 Anna Coleman Ladd, nel suo studio, mentre dipinge una maschera,
indossata da un soldato francese sfigurato durante la prima guerra mondiale

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
Anna Coleman Ladd (1878 – 1939) è stata una scultrice statunitense. Dedicò la sua vita alla cura estetica dei soldati che avevano subito gravi mutilazioni al volto durante il primo conflitto mondiale.
Dopo aver studiato arte a Parigi e a Roma, nel 1905 tornò negli Stati Uniti, a Boston, dove sposò il medico pediatra Maynard Ladd dal quale ebbe due figlie: Gabriella May e Vernon Abbott, e dove, per tre anni, continuò gli studi alla Boston School.
Fu tra i fondatori nel 1914 di The Guild of Boston Artists, partecipando come artista a diverse esposizioni, la più importante delle quali fu l'Esposizione Internazionale Panama-Pacifico, tenutasi a San Francisco nel 1915.
Una delle sue opere, Triton Babies, è attualmente visibile nella fontana nei giardini pubblici di Boston.
Scrisse due libri, il romanzo Hieronymus Rides e Candid Adventurer, oltre a due opere teatrali, che non vennero però mai prodotte.
Abbandonò l'attività letteraria per la ritrattistica, realizzando il ritratto di Bette Davis e quello che viene considerato il suo lavoro più importante, il ritratto di Eleonora Duse, uno dei tre che l'attrice accettava.
Quando il marito fu trasferito a Parigi come medico della Croce Rossa Americana, la Colemann lo seguì, e in questa città incontrò Francis Derwent Wood, fondatore a Londra del Dipartimento di Maschere per visi sfigurati, e con la sua collaborazione aprì a Parigi una analoga struttura, denominandola Studio per le maschere-ritratto.
Lo studio e la ricerca del migliore modo in cui migliorare le condizioni di vita dei soldati sfigurati durante il primo conflitto mondiale la occuperà per tutto il resto della sua vita.
La guerra aveva lasciato un gran numero di soldati gravemente mutilati e sfigurati nel volto dalle esplosioni, impossibilitati a riprendere una vita sociale a causa del ribrezzo suscitato dai volti deturpati. La Coleman studiava il volto danneggiato, ne faceva un calco in gesso, argilla o plastilina dal quale modellava, anche utilizzando le foto ricordo precedenti la mutilazione, una maschera su misura, in rame zincato, che veniva successivamente dipinta con un colore il più possibile simile alla pelle del soggetto, così che potesse venire indossata come protesi, fissandola con lacci o agli occhiali.
Le protesi fisse, grazie al loro alto grado di verosimiglianza nel ricreare la fisionomia dei reduci, seppure nel limite della loro espressività, permisero di ridare dignità a centinaia di sfortunati giovani.
Per il suo disinteressato impegno e per il valore etico e sociale della sua opera, le fu conferita la Legion d'Onore dallo Stato francese.
Nel 1936 Anna ritornò con il marito a Boston, ove continuò a lavorare allo studio del ritratto nella scultura, fino alla morte avvenuta nel 1939.

Claude Fournier

Pro Andrée Geulen

Una mastra, mariposa galana,
Bolende est galu in custu chelu:
Treghentas criaduras de ebrèa bama
At 'ardiàdu cun corriàtu anelu,
Ischirrièndelos da-e babbu et mama
(Galu s'idèa la ponet in disvelu).
Poi de s'inferru bi los at torrados:
A su masone los at abbamados.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Mariposa: farfalla.
Galana: aggraziata.
Galu: ancora.
Chelu: cielo.
Treghentas: trecento.
Criaduras: bambini.
Bama: branco, gregge.
'Ardiàdu: custodito.
Corriàtu: coriaceo, resistente.
Anelu: brama, ardore, anelito.
Ischirrièndelos: separandoli.
Disvelu: veglia.
Inferru: inferno.
Torrados: restituiti.
Masone: gregge, branco.
Abbamados: uniti in branco, in gregge.

Dal sito https://www.unadonnalgiorno.it/
Una foto di Andrée Geulen, riconosciuta Giusta tra le Nazioni.

🆂 Dal sito https://it.gariwo.net
Andrée Geulen era una giovane insegnante in una scuola a Bruxelles, quando un giorno alcuni suoi allievi si presentarono in classe con la stella gialla cucita sugli abiti. Era il 1942 e la stella gialla era obbligatoria per gli ebrei, non c’era molto da fare.
Ma Andrée Geulen, cattolica di nascita e atea per scelta, non poteva accettare questa umiliazione per i suoi studenti, e così chiese a tutti, ebrei e non ebrei, di indossare a scuola un grembiule, in modo da nascondere l’odioso segnale di discriminazione.
Però le persecuzioni aumentavano, iniziavano le deportazioni e la professoressa Geulen capì che non poteva restare a guardare. E che non bastava un grembiule per coprire l’orrore che stava avanzando. 
Entrò nel Comitato di difesa degli ebrei: avevano bisogno di aiuto per nascondere i bambini ebrei e salvarli dalla deportazione e dalla morte. Non era un compito semplice, anche perché bisognava convincere i genitori a separarsi dai loro figli. Alcuni ragazzi venivano nascosti a scuola, altri venivano portati in posti sicuri.
Una notte, in seguito alle denunce di qualche delatore pronto a vendere la vita di ragazzi innocenti, i soldati tedeschi irruppero nella scuola dove insegnava Andrée Geulen, e arrestarono la preside e tutti i ragazzi ebrei presenti. Quando i tedeschi chiesero sprezzantemente alla professoressa Geulen: “Ma non ti vergogni a insegnare a degli ebrei?”. Lei rispose: “E voi non vi vergognate a fare la guerra a dei bambini?”.
Fortunatamente Andrée Geulen riuscì a sfuggire all’arresto, e corse ad avvisare tutti gli altri ragazzi ebrei. Nonostante la paura, da quel momento il suo impegno aumentò a dismisura: cambiò nome e divenne Claude Fournier, entrò in clandestinità e per più di due anni continuò a nascondere bambini e ragazzi ebrei presso famiglie cristiane o nei monasteri e conventi. A tutti loro cambiava nome e identità, ma per non perdere la possibilità di riconsegnarli un giorno alle loro famiglie, scriveva in codice tutti i nomi dei bambini e delle famiglie in liste che nascondeva poi accuratamente.
Quando finalmente finì la guerra, Andrée Geulen non smise di occuparsi dei suoi bambini, questa volta facendo il lavoro inverso per rintracciare le loro famiglie, anche se molto, troppo spesso, delle loro famiglie d’origine non c’era più traccia.
Secondo le testimonianze, l’intensa attività clandestina di Andrée Geulen riuscì a salvare circa 300 bambini e ragazzi ebrei.
Nelle sue interviste, a distanza di anni, ha spesso dichiarato di soffrire ancora pensando ai momenti in cui era stata costretta a sottrarre i bambini dai loro genitori, senza poter dire loro dove li avrebbe portati. Nel 1989 è stata inserita tra i Giusti tra le Nazioni.
Andrée Geuelen è deceduta a 100 anni. E fino alla sua morte, dichiarava con la lucidità di una giovane e con la saggezza dei suoi anni: “Quello che ho fatto è stato solo il mio dovere. Disobbedire alle leggi di allora era la sola cosa normale da fare”.

Chercu 'etzu

Pro Alcide Cervi

Bindi l’at fattu unu bellu-iscrittu
Cando Medàllia de-Onore l’ant dadu
Pro aer frantu dae su coro s’attitu,
Pro aer meda Partigiànos aggiuàdu.
Parìat chi sa vida l’aìat beneìttu,
Fièru de sos ch’aìat sacrificadu:
Pensade chi l'ant mortu sette fizos,
Pro tottu vittimas de martirizos.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Chercu: quercia.
Frantu: allontanato.
Coro: cuore.
Attitu: piagnisteo.
Meda: molti.
Aggiuàdu: aiutato.
Parìat: sembrava.
Beneìttu: benedetto.
Aìat: aveva.
Mortu: ucciso.
Fizos: figli.
Martirizos: torture.

Dal sito https://www.collettiva.it
Alcide Cervi

🆂 Dal sito https://www.collettiva.it
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1970 si spegne un uomo divenuto simbolo della Resistenza.
Contadino e partigiano, sopravvissuto alla prigione e allo sterminio dei suoi sette figli, spese l'intera esistenza a lottare perché il loro sacrificio non fosse stato vano.
La storia dei fratelli Cervi è la storia di un'esemplare famiglia italiana. Il nonno si chiamava Agostino, e fu uno dei capi della rivolta contro la tassa sul macinato nel 1869. Suo figlio, Alcide, aderirà giovanissimo al Partito Popolare ed alla Resistenza. Partigiani saranno anche i 7 figli di Alcide: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Il 26 luglio 1943, il giorno dopo le dimissioni di Benito Mussolini da capo del governo, la famiglia offrirà un pranzo a base di pasta a tutto il paese di Gattatico, per festeggiare. A raccontare quella prima pasta antifascista, condita con burro e formaggio, è lo stesso Alcide Cervi nel suo libro, pubblicato nel 1955 e tradotto in 9 paesi, I miei sette figli:
«Il 25 luglio» - scrive papà Cervi - «eravamo sui campi e non avevamo sentito la radio. Vennero degli amici e ci dissero che il fascismo era caduto, che Mussolini era in galera. Fu festa per tutti!». È Aldo, il terzogenito, che gli fa la proposta. «Papà» - gli dice - «offriamo una pastasciutta a tutto il paese». Ed Alcide accetta.
«Facemmo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitarono nelle case intorno alle caldaie; ci fu un grande assaggiare, per verificare la cottura, ed il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le ragazze e dicevo: “Beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica”».
Di lì a cinque mesi i suoi 7 ragazzi avrebbero invece perso la vita, fucilati dai fascisti, esposti alle rappresaglie delle camicie nere, probabilmente anche per colpa di quella pastasciutta, più potente di un manifesto politico.
Verranno arrestati il 25 novembre e incarcerati nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Rimarranno prigionieri fino alla mattina del 28 dicembre, quando saranno fucilati per rappresaglia.
Il papà Alcide, loro compagno di cella fino a quel 28 dicembre 1943, rimarrà prigioniero fino al gennaio dell’anno seguente, quando il carcere verrà bombardato dagli alleati. Tornato a casa, rimarrà ignaro di quello che era accaduto ai suoi figli per tutti i giorni della sua convalescenza. “Dopo che avevo saputo” - dirà – “mi venne un grande rimorso. Non avevo capito niente e li avevo salutati con la mano, l’ultima volta, speranzoso che andavano al processo e gliela avrebbero fatta ai fascisti, loro così in gamba e pieni di stratagemmi. Ed invece andavano a morire. Loro sapevano, ma hanno voluto lasciarmi l’illusione, e mi hanno salutato sorridendo; con quel sorriso mi davano l’ultimo addio”.
Venuto a sapere dell’eccidio, papà Cervi riuscirà a ritrovare le tombe dei sette ragazzi solo tempo dopo. Dirà il giorno dei funerali, che si svolsero il 25 ottobre del 1945, quasi due anni dopo la loro morte: “Dopo un raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti… I miei figli hanno sempre saputo che c’era da morire per quello che facevano e l’hanno continuato a fare, come anche il sole fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte. Così lo sapevano i tanti partigiani morti, e non si sono fermati davanti alla morte. E ora essi sono con noi in questa terra di Emilia, dove le viti si abbracciano alle tombe, dove un lume e un marmo è la semente di ogni campo, la luce di ogni strada”.
Per il suo impegno partigiano e per quello dei suoi figli gli sarà consegnata la medaglia d’oro realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca l’effigie di Alcide e dall’altro un tronco di quercia tra i cui rami spezzati brillano le sette stelle dell’Orsa.
"Mi hanno sempre detto” - dirà nell’occasione della consegna – “Tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta. La figura è bella e qualche volta piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”.
La motivazione della consegna la scrisse il partigiano Bini (Giovanni Serbandini, fondatore assieme ad Aldo Bisagno Gastaldi, della Brigata e Divisione Garibaldi):

Come la Resistenza hai resistito,
Vecchia Quercia,
Che i tuoi sette rami
Gagliardi d’avvenire
Opponesti alla nera tempesta,
Tutti e sette insieme
In un’alba solo stroncati.
Come la Resistenza hai resistito,
Perché oggi i ragazzi italiani,
Sopra il tuo tronco nodoso,
In uno squarcio libero di cielo
Vedano
Sette stelle d’argento.

Le esequie di Alcide Cervi si svolsero a Reggio Emilia e furono un evento nazionale. Oltre 200.000 persone affolleranno le strade e la piazza dell’ultimo saluto. Gli rendono omaggio tutte le grandi personalità della politica e delle istituzioni legate alla storia antifascista, ma anche tanta, tantissima gente comune.

Dik

Pro Albo Sansovini

Rejone de Dik est galu dudosa,
Si abberu-òmine fit de osadìa;
Ma tzerta est, in logu, sa sua losa:
A curtzu Bologna, no est affaltzìa.
L'ant mortu fascistas, zente odiòsa,
Ca attentadu-aìat a sa tirannìa
De unu cabu, cun Gap de Cesena;
Sàmbene pitzinnu in donzi vena.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Rejone: argomento.
Dudosa: dubbiosa.
Osadìa: prepotenza.
Losa: sepoltura.
A-curtzu: vicino, presso.
Affaltzìa: falsità.
Mortu: ucciso.
Aìat: aveva.
Cabu: capo.
Sàmbene: sangue.
Pitzinnu: ragazzo, giovane.

Dal sito https://memorieresistenti.it
Una foto di Albo Sansovini, dal Fondo Anpi- Istituto Parri, Bologna.

🆂 Dal sito https://www.memorieresistenti.it
Albo Sansovini nacque a Forlì il 3 gennaio 1925, secondo di quattro figli di Francesco. Era residente in città, nella frazione di Villa Ronco e faceva l’operaio.
Fu riconosciuto partigiano dalla “Commissione regionale riconoscimento qualifica partigiani Emilia-Romagna” dal 10 settembre ’43, quando si avvicinò alla Resistenza, aderendo poi all’8ª brigata Garibaldi ed assumendo come nome di battaglia Dick, nel gruppo comandato da Libero, cioè Riccardo Fedel, un discusso capo partigiano di origine triestina, la cui vicenda, in tutte le sue pieghe, rappresenta ancora oggi un argomento caldo per gli storici che si occupano dei temi relativi alla Resistenza in Romagna. Fedel, infatti, fu aspramente criticato per la condotta dei suoi uomini, per i rapporti con l’organizzazione complessiva delle forze partigiane e per la sua etica resistenziale, da alcuni suoi compagni messa in dubbio, tanto che pare ormai assodato che fu ucciso da alcuni di loro.
Chi mise in discussione Libero, mise in discussione anche il comportamento di alcuni suoi uomini, tra cui Dick, criticato per la giovanile tracotanza dimostrata in occasioni inopportune, come durante operazioni partigiane delicate.
Noi ci limitiamo a riportare le informazioni, ripetendo che la questione è controversa.
Albo Sansovini, finchè rimase con Libero, fu operativo nella zona di Pieve di Rivoschio e Santa Sofia, dove con alcuni compagni, tra l’altro, fu incaricato di una missione di rifornimento di armi che non arrivarono mai a destinazione, secondo alcuni per superficialità ed imprudenza, ma anche perché i partigiani furono intercettati da un reparto fascista. Passò successivamente in pianura ai primi di gennaio del ‘44, entrando a far parte dei GAP cesenati.
Coinvolto nell’attentato al vice segretario del fascio di Cesena, Pier Francesco Moreschini, fu ferito e catturato. Arrestato a Casola Valsenio (prov. di FO) il 15 aprile 1944, poi rinchiuso nel carcere di Forlì, fu torturato a lungo nell’intento di farlo parlare. In seguito, il 5 giugno, fu trasferito a Bologna, a san Giovanni in Monte a disposizione del comando SS.
Con lui furono portati a Bologna anche altri partigiani romagnoli (Bertaccini e Ghelfi), che poi saranno tra le vittime di un altro eccidio, quello di Cibeno, nei pressi di Carpi.
Albo, invece, con i partigiani modenesi ricordati sopra, verrà fucilato al Poligono di Tiro di Bologna il 26 giugno 1944, a diciannove anni.

Ada

Pro Ada Tagliacozzo

M’ammento cantu mi piaghìat drommire
In domo de tia mia, sende minore.
Ma deo fortuna potto acclarire,
De sos fascistas no aìa timore.
A Ada, l’ant dadu-ite affliggire
Sa ratza sua et su sou aggressore
Da-e sa domo de sos giàjos l’at leàda,
Giùtta a Auschwitz, no est prus torrada.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Ammento: ricordo.
Piaghìat: piaceva.
Domo: casa.
Sende: essendo.
Acclarire: dichiarare.
Aìa: avevo.
Giàjos: nonni.
Leàda: presa.
Giùtta: portata.

Dal sito https://www.ancientfaces.com
Ada aveva solo 8 anni quando venne assassinata
ad Auschwitz-Birkenau il 23 ottobre 1943

🆂 Dal sito https://moked.it
"Ottanta anni fa, alle 5,30 del mattino di sabato 16 ottobre 1943, le SS invadono le strade del Portico d’Ottavia, arrestano 1023 ebrei romani che furono caricati, due giorni dopo, su ventotto vagoni piombati partiti dalla stazione Tiburtina, con destinazione Auschwitz.
Fra quei 1023 ebrei di Roma, c’erano anche 244 bambini fra cui un neonato di appena sette giorni: era nato al Collegio Militare di via della Lungara a Roma, a poche ore dal rastrellamento del 16 ottobre. La più anziana di quel trasporto si chiamava Rachele Livoli e aveva 90 anni.
Di tutti i 1023 deportati, solo 149 uomini e 47 donne furono immessi nel campo di sterminio di Auschwitz -Birkenau e di essi si salvarono soltanto in 16.
Tra le drammatiche storie di quel terribile 16 ottobre voglio ricordare quella di Ada Tagliacozzo, menzionata nel libro di Gianfranco Moscati, Documenti e immagini dalla persecuzione alla Shoah.
La piccola Ada viveva a Roma in via Salaria, con i genitori e due fratellini. Nell’appartamento di fronte al loro abitavano la nonna e lo zio Amedeo che la coccolavano e la facevano sentire la piccola principessa. E così, anche quel venerdì sera del 15 ottobre 1943, la piccola Ada aveva dato la buona notte ai genitori ed era andata a dormire nel grande lettone di nonna Eleonora.
All’alba arrivarono i tedeschi: l’indirizzo era preciso. Ada fu portata via con lo zio e la nonna, e sette giorni dopo di lei non c’era più niente. Sulla porta dell’appartamento dei genitori non c’era nessun nome e i cacciatori di ebrei passarono oltre. Papà Arnaldo riuscì a mettere in salvo i bambini e la moglie, prima di essere venduto ai nazisti da un conoscente. La mamma Lina attese per anni che almeno Ada tornasse, ma nessuno fece ritorno da Auschwitz.
Sono passati 80 anni da quel tragico 16 ottobre e 85 anni dall’emanazione delle famigerate leggi antiebraiche fasciste. L’Europa e l’Italia sono ancora attraversate da una preoccupante deriva razzista, xenofoba e antisemita. Il nostro Paese sembra non avere fatto fino in fondo i conti con il fascismo, con tutto il suo bagaglio razzista e antisemita", Roberto Cenati, presidente Anpi Milano.

Corvu

Pro Abramu Simonini

Corvu, dae sas bidèas de libertade,
As seberadu su malu caminu,
Pro nde gosare in s’antzianidade
Et pro aer coro pàsidu in sinu.
Ma dies si mustrant de asperidade
Et galu, pasu no as pro destinu.
Bisonzu-amus de animosa zente
Pro-ammentare sa vida Resistente.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Corvu: corvo.
Bidèas: idee.
Seberadu: scelto.
Gosare: godere.
Pàsidu: calmo.
Galu: ancora.
Ammentare: ricordare.

Dal sito https://www.facebook.com/anpigenova
Abramo Simonini, nome di battaglia Corvo.

🆂 Dal sito https://primaillevante.it
La Sezione ANPI di Lavagna esprime le più sentite condoglianze alla famiglia Simonini per la scomparsa di Abramo, di anni 93.
Partigiano "Corvo", già Presidente della sezione cittadina e Presidente Onorario dal 2016.
Lo vorremmo ricordare con le parole di un altro protagonista della Resistenza, Fulvio Cerofolini:
«Unicamente mossi da un ideale di libertà e democrazia, hanno scelto la difficile via della lotta armata.  C’è ancora bisogno di voi! 
Occorre trasmettere i valori della Resistenza per conservare la memoria che troppo spesso viene distorta e fare emergere la verità intorno a quello che fu la Resistenza. 
Dite ciò che avete fatto e soprattutto perché lo avete fatto, per difendere un ideale di giustizia e di libertà».
Abramo, come altri prima di lui, ci ha lasciati e a noi resta il gravoso compito di far conoscere quegli ideali di giustizia e libertà e di tramandarne la memoria.
"Bella ciao", Abramo!

S'andalinu