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Tràmula

S'aìa pòttidu fagher unu cantu
Armoniòsu, de melodìas bestidu,
Pro bos narrer su chi oe appo 'idu,
Ca de peràulas no appo s'agguàntu,
Aia cun sette notas, impertantu,
Tramas de una fàuna intessìdu.

Pro lis mustrare cussa meravìglia,
Si su tempus mantenet amorosu,
Aìa a rùndines postu sa brìglia,
Pro 'ìder de s'àlvere animosu
Su fiòre pendulende che ischìglia,
In s'oliàriu sididu et umbrosu.
Bi siat Deus occ'annu in sa 'idda mia:
Chi no nde ruat sa tràmula primmadìa!

Risposta de Chìrigu Dettori

Caru figliotzu meu istimadu:
Sa tràmula as bidu primmadìa;
Ma cussa, no bi diventat mai olìa
Ca gai in s'iscola mi ant imparadu.
Forsis l'as bidu in sa campagna mia,
Ma su tres pro milli ‘enit ingraidadu;
Pensa figliotzu, ite aisti fattu:
Cun cuss'olìa no restat unu rattu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Impertantu: intanto, nel frattempo.
Fàuna: coperta da letto, creata al telaio, frangiata.
Pendulende: penzolando.
Ischìglia: campanaccio.
Oliàriu: oliveto.
Tràmula: fiore dell'ulivo.
Primmadia: prematura.
Olìa: oliva.
Rattu: ramo.

Dal sito https://www.frantoioscalia.com
Sa tràmula.

Unu passu

Tue istèrrela, cuvaldu, cuss’anca,
As a bider chi nd’as aer gosamentu.
Lea ànimu et giùmpa sa calanca,
Pone su passu, mustra ardimentu!
Sa conca ponedila in turmentu,
Muda s’imbitzu, attrìvidi a manca!

Làssalu pro s’arriscu su seguru:
De sa càriga no fettas sa vida:
Reu, bene-arrumbadu a unu muru,
Isettende sa-estiga pro supplida,
Pro no rùere che lidone maduru
In su ludu chi ti dat rifiorida.

No nde perdas dies et annos, camina,
Vividi s’edade, su mundu et rie.
Mira, ite gèniu nèndelu a tie,
Ma a lu fagher deo... atza ainina!

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Istèrrela: stendila.
Lèa: prendi.
Giùmpa: salta.
Calanca: dirupo.
Imbitzu: assuefazione, abitudine.
Attrìvidi: osa.
Arriscu: rischio.
Càriga: fico secco.
Reu: in piedi.
Arrumbadu: appoggiato.
Estiga: ramo fine e dritto che viene utilizzato anche come spiedo.
Lidone: corbezzolo.
Ludu: fango.
Atza: coraggio, sfrontatezza.
Ainina: dell'asino.

Dal sito https://www.ggallotrainingacademy.com

Nùmene

Sos sentidos, sos chi contant abberu,
No los podes remunire, negare.
Ti tzoccat sa pettorra su misteru;
Ponedi-in conca de los atzettare.
Chi lis nerzas amore-o disisperu,
Amistade o sìmplitze trattare,
Contat pagu comente los giamare;
Su chi prus contat est chi siet sintzeru.

Si est amore faghet un’erèntzia;
Si-est amistade ajùat sa in sa vida;
Si est trattonzu bi cheret cussèntzia;
A disisperu paga attrivida.
Su chi balit de prus est sa credèntzia,
Chi t’accumpagnat finas a s’escida.

Si a numen lu cheres fentomare,
Poneli Pedru, ma pròadi-a gosare.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Sentidos: sentimenti.
Remunire: nascondere, celare.
Tzoccat: bussa.
Pettorra: petto.
Conca: testa.
Disisperu: disperazione.
Amistade: amicizia.
Sìmplitze: semplice, banale.
Giamare: o jamare, chiamare, nominare.
Erèntzia: eredità, parentela, famiglia.
Attrivida: ardimento, l'atto di osare.
Poneli Pedru: chiamalo, dagli il nome che preferisci, non è ciò che conta.
Gosare: godere.

Dal sito https://www.studenti.it

A una bajana

Unu solde t'èsciat da-e 'onzi tuddu,
Da-e d'onzi pòddighe battor serrones;
Duos carrabusos ti mòlient su neùddu
Et che falent fintzas a sos carrones.
De assunza ti fettant su cuguddu
Et chi s'allumet comente lampiòne.
Già nd'appo peràulas pro t'istrumare:
Da-e Ìndia accudant pro t'ischimare!

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Bajana: ragazza, vergine, non sposata, nubile.
Solde: verme.
Tuddu: pelo.
Pòddighe: dito.
Battor: quattro.
Serrones: vermi.
Carrabusos: scarafaggi, scarabei stercorari.
Mòlient: girare, vorticare.
Neùddu: midollo.
Falent: scendano, calino.
Carrones: calcagna, talloni.
Assunza: sugna, grasso del maiale da cui si ricava lo strutto.
Cuguddu: cappuccio.
Allumat: accendere, infiammare.
Peràulas: parole.
Istrumare: abortire, distruggere, sterminare.
Accudant: accorrere, precipitarsi.
Ischimare: tagliare la cima, troncare.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Bachis et Antoni Nurra.

Filibertos

Già lu podes, si bi crèes, abdicare
Et lassare sos sùdditos in paghe;
Ma da-e ite ti ch'as a istretziàre,
Pro ti favorire su tou filiàghe?
No tenes rennu, nemmancu condaghe,
Terras o vassallos de isfruttare.
Àbdica si lu cheres, re fallidu,
Ma su rennu 'ostru bos at austidu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Podes: puoi.
Crèes: credi.
Istretziàre: allontanare.
Filiàghe: piccola anguilla.
Condaghe: registro medievale sardo d'amministrazione.
Cheres: vuoi.
Austidu: abortito.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Alcune proteste contro i Savoia, a Sassari, davanti al Tribunale ed in Piazza d'Italia.

🆂 Dal sito https://torino.repubblica.it
- Il principale membro di Casa Savoia, Emanuele Filiberto, recentemente ha annunciato di voler abdicare in favore della figlia, Vittoria di Savoia.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- Casa Savoia è una tra le più antiche dinastie d'Europa, attestata sin dalla fine del X secolo nel territorio del Regno di Borgogna.
Nel XVI secolo i Savoia spostarono i propri interessi territoriali ed economici dalle regioni alpine verso la penisola italiana; agli inizi del XVIII secolo, a conclusione della guerra di successione spagnola, ottennero l'effettiva dignità regia, dapprima sul Regno di Sicilia (1713) e poi, a seguito di una permuta, su quello di Sardegna (1720). 
Nel XIX secolo, con Carlo Alberto e soprattutto Vittorio Emanuele II di Savoia, il casato si pose a capo del movimento di unificazione nazionale italiano, che condusse alla proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861. Da questa data e fino al giugno del 1946, quando il referendum sulla forma istituzionale dello Stato sancì l'abolizione della monarchia in favore della repubblica, casa Savoia fu la famiglia reale d'Italia. 
Durante il regime totalitario di Benito Mussolini, la dinastia ottenne formalmente con Vittorio Emanuele III le corone di Etiopia (1936) e di Albania (1939) in unione personale, e nel 1941, col duca Aimone di Savoia-Aosta, anche la corona di Croazia. Questi ultimi titoli cessarono tuttavia definitivamente nel 1945, con l'assetto internazionale seguito alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 1947 la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana dispose l'esilio degli ex re e dei loro discendenti maschi: nel 2002, in vista della cancellazione di tale disposizione, Vittorio Emanuele di Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto di Savoia giurarono per iscritto «fedeltà alla Costituzione repubblicana e al nostro presidente della Repubblica» e nel 2003 i discendenti maschi di re Umberto II poterono rientrare in Italia

🆂 Dal sito https://www.manifestosardo.org
- L’Isola del grande verde, che fra il XIV e XII secolo a.C. fonti egizie, accadiche e ittite dipingevano come patria dei Sardi shardana è sempre più solo un ricordo. La storia documenta che l’Isola verde, densa di vegetazione, foreste e boschi, nel giro di un paio di secoli fu drasticamente rasata, per fornire carbone alla industrie e traversine alle strade ferrate, specie del Nord d’Italia. Certo, il dissipamento era iniziato già con Fenici, Cartaginesi e Romani, che abbatterono le foreste nelle pianure per rubare il legname e per dedicare il terreno alle piantagioni di grano e nei monti le bruciarono per stanare ribelli e fuggitivi, ma è con i Piemontesi che il ritmo distruttivo viene accelerato.
Iniziarono presto: 20 anni dopo avere preso possesso dell’Isola, nel 1740 il re Carlo Emanuele III di Savoia aveva concesso al nobile svedese Carlo Gustavo Mandell il diritto di sfruttare tutte le miniere di Parte d’Ispi (Villacidro) in cambio di un’esigua percentuale sul minerale raffinato; e gli aveva permesso di prelevare nelle circostanti foreste il carbone e la legna per le fonderie, costringendo i comuni a vere e proprie corvèe e distruggendo così il patrimonio forestale della regione.
Lo scempio era continuato anche quando miniere e fonderie, scaduto il contratto trentennale di Mandell, furono gestite direttamente dal regio governo. Anzi da allora la situazione si era aggravata, perché le richieste di combustibile si erano fatte più pressanti e perentorie. Furono bruciati persino i boschi della piana di Oristano per incenerire i covi dei banditi mentre i toscani li bruciarono per fare carbone e amici e parenti di Cavour, come quel tal conte Beltrami devastatore di boschi quale mai ebbe la Sardegna, mandò in fumo il patrimonio silvano di Fluminimaggiore e dell’Iglesiente.
Con l’Unità d’Italia infine si chiude la partita con una mostruosa accelerazione del ritmo delle distruzioni, specie con il regno di Umberto I a fine Ottocento. Scriverà Eliseo Spiga: «lo stato italiano promosse e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese».
Mentre il poeta Peppino Mereu, a fine Ottocento, mette a nudo la colonizzazione operata dal regno piemontese e dai continentali, cui è sottoposta la Sardegna, proprio in merito alla deforestazione:  «[…] Sos vandalos chi cun briga e cuntierra / benint dae lontanu a si partire / sos fruttos da chi si brujant sa terra […] Vile su chi sas jannas hat apertu / a s’istranzu pro benner cun sa serra / a fagher de custu logu unu desertu […]».
E Giuseppe Dessì, nel suo romanzo Paese d’ombre scrive: «La salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, specialmente dopo l’unificazione del regno». Mentre Carlo Corbetta, (scrittore lombardo della seconda metà del secolo XIX), in seguito a un viaggio in Sardegna ed in Corsica, scrisse un’opera in due volumi, a proposito della distruzione dei boschi e della deforestazione, scrive che «[…] la si deve in  massima parte agli speculatori e trafficanti di scorza che col loro coltello scorticatore ne denudano i tronchi  e grossi rami delle elci e quercie marine e delle quercie comuni e la spediscono in continente ad estrarne tannino per la conceria delle pelli e per le tinture […]».
Si tratta di un’analisi gravemente deficitaria. E’ vero che le sugherete erano preda subito dopo l’Unità d’Italia (a partire soprattutto dal 1865) di gruppi di commercianti che cercavano il tannino e la potassa. Ma i veri responsabili che Corbetta non individua, sono ben altri: i re sabaudi e i loro governi. Probabilmente Corbetta non voleva nè poteva individuarli, essendo essi amici e contigui ai suoi sostenitori, Quintino Sella in primis. Il suo viaggio in Sardegna era stato possibile proprio grazie  all’appoggio proprio di Quintino Sella. Questi, più volte Ministro delle Finanze nel 1869 soggiornerà due volte in Sardegna in qualità di componente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni dell’isola.
Ma è soprattutto Gramsci, in un articolo sull’Avanti del 23 ottobre 1918, censurato e riscoperto 60 anni dopo, a denunciare la devastazione ambientale e climatica, frutto della spoliazione e distruzione dei boschi. Nell’articolo, intitolato significativamente Gli spogliatoi di cadaveri, individua fra questi gli industriali del carbone: «[…] Essi scendono dalla Toscana e stavolta, il lascito perla Sardegna è la degradazione catastrofica del suo territorio. L’Isola è ancora tutta boschi. Gli industriali toscani ne ottengono lo sfruttamento per pochi soldi. […] Ad un popolo in ginocchio anche questi pochi soldi paiono la salvezza […]», scrive ancora Gramsci. «Così l’Isola di Sardegna fu letteralmente rasa suolo come per un’invasione barbarica. Caddero le foreste. Che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni atmosferiche. La Sardegna d’oggi alternanza di lunghe stagioni aride e di rovesci alluvionanti, l’abbiamo ereditata allora […]».

Silviàcciu

Cando-at a esser chi ch'at a falare,
Su jannile l'abberint, so seguru;
No lu lassant tzocchende che tzoccare,
Mancari nd'ettet a punzos su muru:
Unu pagu-'e lughe, pro cuss'iscuru,
Inìe no at a poder comporare.
In cussu fogu tando già ch'affunga' (t),
Mancari no chirchet prus bunga bunga.

A nois, finas chi no nde torrat issu,
Dìent sa giustìscia chi Sìlviu-at omissu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Falare: scendere.
Jannile: portone, portale.
Abberint: aprono.
Lassant: lasciano.
Tzocchende: bussando.
Mancari: sebbene.
Bettet: butti.
Punzos: pugni.
Iscuru: oscurità.
Inìe: là.
Comporare: comprare.
Fogu: fuoco.
Affungat: affonda.
Chirchet: cerchi.
Torrat: torna, ritorna.
Dìent: diano.

Dal sito https://www.ilfattoquotidiano.it
Silvio Berlusconi esibisce le corna sulla testa del ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- Silvio Berlusconi (1936 – 2023) è stato un imprenditore e politico italiano, quattro volte Presidente del Consiglio dei Ministri, conosciuto anche come il Cavaliere, avendo ricevuto l'ordine al merito del lavoro nel 1977, al quale rinunciò a seguito di una condanna penale nel 2014.
Dopo aver iniziato la sua attività imprenditoriale nel campo dell'edilizia, nel 1975 costituì la società finanziaria Fininvest e nel 1993 la società di produzione multimediale Mediaset, nelle quali confluirono poi altre società come Arnoldo Mondadori Editore e Silvio Berlusconi Communications.
Nell'imminenza delle elezioni del 1994, Berlusconi entrò in politica fondando Forza Italia, partito politico di centro-destra, confluito ne Il Popolo della Libertà nel 2008 e poi rifondato nel 2013. Le sue politiche hanno segnato la vita pubblica italiana dalla metà degli anni ‘90 con un atteggiamento tipico che è stato definito berlusconismo, ampiamente sostenuto dai suoi seguaci politici e dai suoi elettori, entrando fortemente anche nella cultura di massa e nell'immaginario collettivo italiano ed estero, ma suscitando pure un duro antiberlusconismo da parte degli oppositori, che ne sottolinearono più volte il conflitto di interessi e lo accusarono di emanazione di leggi ad personam.
È inoltre annoverato internazionalmente come il primo populista d'Europa nella politica dell'età moderna ed imputato in oltre trenta procedimenti giudiziari.
Nel 2013 fu condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione e all'interdizione ai pubblici uffici per due anni per frode fiscale, decadendo quindi da senatore e cessando di essere un parlamentare dopo quasi vent'anni di presenza ininterrotta nelle due camere.
Tornato candidabile nel 2018, fu eletto parlamentare europeo alle elezioni europee del 2019. Alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 vinse nel collegio uninominale di Monza, tornando in Senato dopo nove anni di assenza e restandoci fino alla morte, avvenuta il 12 giugno 2023.

Calorìas

Pro oe leàdemi cun delicadesa,
Piànu piànu, che cìcchera-'e latrina:
Che rana, so chirchende frischesa,
Pellegrinu, da-e domo a chentina,
Infundèndemi pes, conca, ischina;
Pèrdidu-appo donzi pacadesa.
Lassàdemi-'e sesi, pro caridade,
A culu a modde, che un'anade.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Oe: oggi.
Leàdemi: Prendetemi.
Cìcchera: tazzina.
Cìcchera de latrina: o batzinu; vaso da notte, urinale.
Chirchende: cercando.
Domo: casa.
Chentina: cantina.
Infundèndemi: bagnandomi.
Pes: piedi.
Conca: testa.
Ischina: schiena.
Lassàdemi de sesi: o de sei; lasciatemi in pace.
Culu: sedere, culo.
Modde: molle, a mollo.
Anade: anatra.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Zuseppe (Puggiòni) et Gavinu Pinna, Antoninu Mulas, Gioacchinu Sogos, Tottòi et Baìnzu Salaris.

Malinconìa

Un'umbra fea in ojos mi falat
Chi covaccat cale si siat lugore;
Mi nd'abbizo da-e su nièddu bujore
Chi mi negat su 'olu, m'isalat,
Mi infirchit, m'intzegat, mi pugnalat
Et no bido prus perunu colore...
M'agatto tott'in d'una in tristura:
Da-e custu cànnau no b'at isoltura.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Fea: brutta.
Ojos: occhi.
Falat: scende.
Covaccat: copre.
Lugore: luce, lucentezza, splendore.
Abbizo: accorgo.
Nièddu: nero.
Bujore: buio, oscurità.
Bolu: volo.
Isalat: taglia le ali.
Infirchit: infilza.
Intzegat: acceca.
Bido: vedo.
Agatto: trovo.
Cànnau: fune.
Isoltura: scioglimento, slegamento.

Dal sito https://eu-tropia.it/blog

Galu a bolu

Battorinas et ottavas bettadas in Facebook, in risposta a àtteros poètes


Giuànne Morette
A la cantamus una battorina:
Un anzone appo ammaniàdu,
Sa cannacula vaco su ortadu;
Àtteru che manicare minestrina.
A la cantamus una battorina.

Giuampedru Delogu
A la cantamus una battorina:
S’anzone chi deo oe appo mandigadu,
Cun s’iscarzofa fit ammanitzadu,
Ma no creo l’appent puntu cun s’ispina;
Bona meda fit custa battorina.

Marcu Fois
A tema già bos mando una proposta
Chi est rivolta a tottu sos poètas:
Appedas una nobile resposta,
Cun versos et istrofas che lamettas;
Versos intelligentes che profetas,
Chi segaìant cherveddos et costas.
Ischidade cun s’estru et rispondide
Et iscriìde cussu chi cheride’ (s).

Giuampedru Delogu
No isco ite ti narrer, oh poète!
Ite ti as cherrer a istrobojare?
Respostas vanas cheres chi ti bette?
No cumprendo, si su tou preguntare
Est comente un apprettu cun fuètte
O si est tantu pro arrejonare.
In pertantu, chi siet goi o chi siet gai,
S’ottada-est fatta, ma no respondo mai.

Giuanne Pira
Giampiètro lèggidu appo s’iscrittu
Chi pro m’iscrìer m’as imbiàdu.
Ti ringràtzio, mi sento onoradu,
Ma atzettare no potto s’invitu,
Ca bi so nessi-in chent’et unu situ
Et deghinas de gruppos impignadu.
A tie et a s’intrèa cumpagnìa,
Saludos caros da-e parte mia.

Giuampedru Delogu
Rennovo su cumbidu, deris fattu,
Pro legger calchi tua bella ottada,
Bidende chi sa musa t’est torrada
Et de sa resposta ti nde so gratu.
Ammenta: pro fagher unu palattu
De maniàlis bi cheret s’affiottada.
Perunu poète si ponzat a parte:
De donzi ischente bi cheret s’arte.

Gianni Morette
A la cantamus una paesana.
Abrile at battidu abba lena:
Chissai sia bona sa vena,
Nos catzet de abba sa gana.
A la cantamus una paesana.

Giuampedru Delogu
Tando cantamus una paesana.
Su fiòre de s'olìa est seberende:
Prego chi no bistet semper pioènde,
Ca de-ozu est bòida sa tambulana.
Tando cantamus una paesana.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php

Bolu: volo.
Battorinas: quartine, strofe di quattro endecasillabi, a rima alternata.
Ottavas: o ottadas;  strofe di otto endecasillabi (sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata).
Atteros: altri.
Anzone: agnello.
Ammaniàdu: o ammanitzadu; apparecchiato, preparato.
Cannagulu: budello, intestino crasso.
Mandigadu: mangiato.
Iscarzofa: carciofo.
Appedas: abbiate.
Segaìant: tagliavano.
Cherveddos: cervelli.
Costas: costole.
Ischidade: svegliate.
Iscriìde: scrivete.
Cherides: volete.
Isco: so.
Narrere: dire.
Cherrere: volere.
Istrobojare: districare, sbrogliare.
Bette: butti.
Preguntare: domandare, chiedere.
Apprettu: sollecito.
Fuètte: frusta.
Arrejonare: discorrere, chiacchierare.
In pertantu: nel frattempo.
Goi: o gai; così.
Nessi: almeno.
Cumbidu: invito.
Bidende: vedendo.
Torrada: tornata, ritornata.
Ammenta: ricorda.
Palattu: palazzo.
Maniàlis: manovali.
Affiottada: raggruppamento.
Perunu: nessuno.
Ischente: apprendista.
Catzet: cacci.
Abba-lena: pioggerellina.
Gana: voglia.
Seberende: scegliendo.
Pioènde: piovendo.
Ozu: olio.
Bòida: vuota.


©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Austin'Ànghelu Sini

Isteddos

Sunt atzesos donzi notte, che pare,
Cussos isteddos, altos, in su chelu.
Ma pro los bìdere cun abberelu,
Pro chi puppìas nos fettant allampare,
De tristuras no bi cheret su velu:
Sos ànimos no tevent tribulare.
Nos addelentant su coro tando solu,
Si no restant lughes de isconsolu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Atzesos: accesi.
Che-pare: uguali.
Isteddos: stelle.
Bìdere: vedere.
Abberelu: incanto, stupore.
Puppìas: pupille.
Allampare: spalancare gli occhi.
Tristuras: tristezze.
Cheret: vuole.
Addelentant: ingrandiscono, migliorano.
Tando: allora.
Isconsolu: sconforto.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Antoninu Mura et Mariànzela Salaris

Betzos et dubbos

Sevadore Còntini
In sas sanitàrias istrutturas,
Sunt sos antziànos maltrattados,
Benint iscuttos et pistados,
A boltas finas cun fratturas,
A pustis benint issos curados,
Cun dispiaghere et disaùras,
Po s'umanidade mannu-affrontu,
Custu portamentu vile et tontu.

S'antziànu mèritat rispettu,
Fintzas s'umana cumprensiòne,
Su veru sentimentu et affettu,
Bi cheret pro donzi persone,
Già cheret finas protettu,
Cun cautela et precautziòne,
Da-e mannos et minores,
Pro alleviàre sos dolores.

Custos disumanos chentza coro,
In galera si devent inserrare,
Ca no connoschent su decoro,
Ca male si sighint a cumportare,
Et no nd'ant fattu tesoro,
De su sanu bene operare,
Chentza pentimentu et cumpassiòne,
Sighint s'insoro professiòne.

Giuampedru Delogu
Tottu sas professiònes de ajudu
Sunt suggettas a ruer in su impudu.

1.
Caru Barore ti torro resposta
In ottavas comente as fattu tue.
Ma no bisto de tzertu tosta-tosta
Et no mi remuno, no bisto fue-fue.
Rejone ch'as mòvidu subra, incùe,
Mi dolet, comente ch'appe in costa' (s)
Una lantza, che sa de Gesus Cristu:
Donzi 'olta mi lassat cori tristu.

2.

As iscrittu chi tottu sos betzittos
Benint in strutturas malostiàdos.
Deo ti naro chi sos malefadados
Sunt gai pagos et puru circuscrittos,
Chi-in pòddighes de manu sunt contados.
Pro sa vida già restant abbunzados,
Già no los lassant cun duos tzinchillittos;
Che los bogant da-e inùe sunt, a primmu,
Ca chie lu faghet no est conchi frimmu.

3.
Deo mai los appo a giustificare,
Ma mi piàghet a cumprender sa zente,
Si l'est faladu calchi accidente
O si gai s'est sòlitu cumportare.
Ca, a boltas, in custu tribagliare
Ch'escit fora 'e conca s'assistente;
Tando, vile, si la leat cun chie podet
Et in logu de los aggiuàre, noghet.

4.
Lu naro ca fatto custu tribàgliu
Et tensiòne est semper alta meda:
Pro lu pagare no bastat sa muneda
Et semper suggettu ses a s'isbàgliu.
Nois tottu, li faghimus de bersàgliu,
Umpare a sos betzos, li semus de preda,
Ca prus no servit sa nostra fadiga
Pro culpa sua, che est bènnidu alìga.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.phpDubbos: percosse.
Iscuttos: picchiati.
Disaùras: disgrazie.
Inserrare: rinchiudere.
Ajudu: aiuto.
Ruer: cadere.
Impudu: pentimento.
Ottavas: strofa di otto endecasillabi (sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata).
Tosta-tosta: l'atto di tirare con frequenza.
Remuno: nascondo.
Fue-fue: di sfuggita, fuggi fuggi.
Incùe: là.
Costas: costole.
Lantza: lancia.
Betzittos: vecchietti.
Malostiàdos: molestati, maltrattati.
Naro: dico.
Malefadados: disgraziati.
Gai: così.
Pòddighes: dita.
Abbunzados: macchiati, sporcati.
Tzinchillittos: buffetti, schicchere.
Bogant: tolgono.
Inùe: dove.
Conca: testa, capo.
Faladu: sceso.
Tribagliàre: lavorare.
Leat: prende.
Podet: può.
In logu: invece.
Noghet: nuoce.
Àliga: spazzatura.

©suigante.
Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"
Il carabiniere reale Antoni Càlvia

Austida

Sandra Paddèu
Mama, proìte non bi so naschìu?
Proìte as preferìu
Ponner cabu a s'iscunortu
Et permìttere chi essera mortu?
Forsis in nùmene de unu dirittu
Ch'in terra sos omines ant iscrittu,
Ma in Chelu est abomìniu:
Istratzare da-e su sinu
Su printzìpiu de sa vida
Ch'intro 'e tene fit già naschida.
Mi cherìa, sì "ispeciale",
Ma no che iscartu 'e ispidale
Interràu in d'una busta.
Cale indigna sepoltura,
Miserabile e inzusta
Pro sa tua creatura!

Narami chi t'ant custrettu;
Narami chi no fist'a trettu
De mi battire a su mundu
Ca giughìas cussu male,
Su peus, su mortale,
Chi a nudd'atteru est sigundu.
Narami chi appo rejone,
Chi giughìas sa conca modìa,
Chi sentidos non ti codìat
Et chi fisti a isvariònes.
Nara chi no avìas cumpresu
Cantu fit mannu su tesoro
Chi fisti perdende et su pesu
Chi portas in su coro
Ti movat a pentimentu
Et a Deus pedas perdonu.
Misericòrdia ti vattit in donu
In d'un'iscutta, in d'unu momentu
De s'iscuriòre nde dogat su velu
E tando mama......
T'appo a connòschere in su Chelu.

Giuampedru Delogu
1.
Cantat como peràulas de dolore
Sa criadura, in sos pensamentos tuos.
Ma no pensades chi poi, ambos duos
Aìant suffridu penas chentza-amore?
Primmu de 'intrare a su duttore,
Sa mama già no curret a sos conclùos,
Ca si mancari siet unu dirittu,
Donzi mama lu timet cuss'attitu.

2.
No li mancat coro a chie lu faghet,
Antzis, totta vida at pensamentu
De su chi perdet in d'unu mamentu:
Pro totta vida s'austida dispiàghet.
Et si custu mundu no si disfaghet,
Toccat pensare chi su patimentu
Benit prus in conca a custas mamas,
Che a sos chi faghent custos reclamas.

3.
De dare giudìsciu dirittu amus,
Ma solu a contos de nostra vida;
Ca si puru s'attrivida nos leamus
De fagher a atteros ammonida,
Solu sa nostra supèrbia mustramus,
Et nos podet restare arrèschida.
No pensemus solu a sa criadura
Puru a sa mama, chentza rancura.

Et si cust'attu benit seberadu
pro milli contos, pro milli rejones,
Est su dirittu sou, no de embriones,
Chi cun difficultade-at atzettadu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Iscunortu:perdita della speranza.
Istratzare: stracciare.
Sinu: seno, petto.
Tene: o a tie, te.
Interràu: o interradu, seppellito, sotterrato.
Peus: peggio
Modìa: o modde, molle, morbida.
Sentidos: sentimenti.
Isvariònes: spropositi, dissennatezze.
Pedas: chieda.
Vattit: o battit, porta.
Iscutta: attimo, momento, istante.
Criadura: neonato, bambino.
Conclùos: conclusioni.
Timet: teme.
Attitu: piagnisteo, lamento delle prefiche.
Disfaghet: disfi, disfaccia.
Conca: testa, mente.
Attrivida: ardimento, l'atto di osare.
Arrèschida: fermata in gola.
Rancura: rancore, molestia, fastidio.
Seberadu: scelto.

Dal sito https://milanoinmovimento.com
La legge 22 maggio 1978, n. 194 è la legge italiana che ha disciplinato le modalità di accesso all'aborto, stabilendo che la scelta spetta sempre alla donna interessata.

Capacocha

Guàsi chimbe séculos sunt passados,
Ma galu in conca tenet su piògu.
Cun sa sorre, los ant sacrificados
A sos Deos insoro, pro aer abbogu.
Ambos duos, puru los ant imbreagados,
Pro lis dare unu pagu-‘e disaògu.
Como sa lughe-‘e su sole ant bidu:
Su corpus insoro no at matzidu.

Bios, los ant dados a su Vulcanu
Ca no aìat piòppidu in beranu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Galu: ancora.
Conca: testa, capo.
Piògu: pidocchi.
Sorre: sorella.
Insoro: loro.
Abbogu: acquazzone, abbondanza.
Imbreagados: ubriacati.
Disaògu: sollievo, sfogo.
Bidu: visto.
Matzidu: marcito.
Bios: vivi.
Piòppidu: piovuto.
Beranu: primavera.

🆂 Dal sito https://www.focus.it/cultura/storia/dalle-mummie-dei-bambini-inca
Essere selezionati come i più puri e sani del villaggio, prelevati dalla propria casa, nutriti del cibo migliore e, dopo mesi di preparazione, condotti in cima a una montagna, a 6000 metri di altitudine, e sacrificati agli dèi, soffocati, uccisi con un colpo alla testa o bruciati vivi.
È questa la storia dei bambini dai 6 ai 15 anni vittime della Capacocha, una cerimonia sacrificale che segnava gli avvenimenti più importanti per il popolo Inca, legati per lo più alla vita dell’imperatore.
Una storia già conosciuta, ma che si arricchisce di nuovi dettagli, grazie alle analisi condotte dai ricercatori dell’Università di Bradford sui capelli di tre mummie rinvenute nel 1999 in prossimità della cima del vulcano Llullaillaco, in Argentina.
Secondo l’archeologo Andrew Wilson sarebbero le mummie meglio conservate al mondo (tanto che una aveva ancora le cicatrici della pediculosi). Si tratta di bambini di 6, 7 e 13 anni, sacrificati circa 500 anni fa in occasione di una tipica Capacocha, ai quali venivano somministrati grandi quantità di alcol e foglie di coca.

Dal sito https://www.focus.it/cultura/storia/dalle-mummie-dei-bambini-inca-i-segreti-dei-sacrifici
La mummia della "doncella de Llullaillaco", una delle meglio conservate al mondo.

Abitùdine

«Infame maladìa est s’imbitzada:
Da-e neghe sua disgràscias atzettamus,
Morte, dolores, abbirgonzada’ (s).
Pro s’àbbittu, cun zente fea istamus,
Sas cadenas nos dant accostazada;
A lenu a lenu, sa lua buffamus
Et no b’at duttores pro nos sanare
Ca cust’andanta est mala-a lassare».

Ma si cun pasciénscia (ch’est prus de fùria)
A passu a passu, leàmus caminu,
Plutarco narat chi, cun determinu,
Nos podimus frangher cussa iscùria.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Imbitzada: abitudine.
Neghe: colpa.
Atzettamus: accettiamo.
Abbirgonzadas: vergogne.
Àbbittu: abitudine.
Fea: brutta.
Accostazada: l'atto di affiancarsi, appoggiarsi.
A lenu: lentamente, lievemente.
Lua: euforbia; usata per avvelenare le pozze d'acqua e stordire i pesci, facilitandone la pesca.
Andanta: andatura.
Pasciènscia: pazienza.
A passu: lentamente, un passo dopo l'altro.
Leàmus: prendiamo.
Determìnu: determinazione, risolutezza.
Franghere: evitare, scansare, allontanare.
Iscurìa: penuria, miseria.

🆂 Dal sito https://www.libriantichionline.com/divagazioni/oriana_fallaci_abitudine#
[...] L'abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto.
L'abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d'averla addosso ogni fibra di noi s'è adeguata, ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci. [...]
Brano tratto da Un uomo, di Oriana Fallaci (Milano, Rizzoli - 1979).

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- Oriana Fallaci (1929 – 2006) è stata una giornalista, scrittrice e attivista italiana.
Partecipò giovanissima alla Resistenza italiana (nelle Brigate di Giustizia e Libertà del Partito d'Azione) e fu la prima donna italiana ad andare al fronte in qualità di inviata speciale. Fu una grande sostenitrice della rinascita culturale ellenica e conobbe le più importanti personalità di questa, tra cui Alexandros Panagulis col quale ebbe anche una relazione.
Durante gli ultimi anni di vita fecero discutere le sue dure prese di posizione contro l'Islam, in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001 a New York, città dove viveva.
Come scrittrice, con i suoi dodici libri ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo.

Dal sito https://www.interris.it/news
Oriana Fallaci.
Secondo quanto da lei stessa riferito, l'input che la induce a prendere carta e penna "È quello di raccontare una storia con un significato […], una grande emozione, un’emozione psicologica, politica e intellettuale".

- Plutarco di Cheronea (48 – 127) è stato un biografo, scrittore, filosofo e sacerdote greco antico, vissuto sotto l'Impero romano: ebbe anche la cittadinanza romana e ricoprì incarichi amministrativi.
Studiò ad Atene e fu fortemente influenzato dalla filosofia di Platone.
La sua opera più famosa è costituita da Le vite parallele, biografie dei più famosi personaggi della classicità greco-romana, oltre ai Moralia, di carattere etico, scientifico, erudito, in un pensiero fortemente influenzato da Platone e dal fatto che nell'ultima parte della sua vita fu sacerdote al Santuario di Delfi.

Dal sito https://www.studiarapido.it/plutarco-storico-greco-vita-opere
Il busto di Plutarco, conservato al museo archeologico di Delfi (Grecia)

Mussolini

Si chie fit, m’ant a preguntare,
Appo a narrer chi fit castigadu,
Chi una leze at chèrfidu dare
Pro chi sua ratza aéret asciàdu.
Unu chi at detzisu de mandare
S’esércitu sou, male cumbinadu,
In sa Rùssia, in Àfrica et Grécia
A morrer cun offesas et iscrétzia.

Chi fit covaldu, bene remunidu,
Chi a daghi-at bidu chi fit perdende,
Bestidu-‘e tedescu, si che fit fuénde
Cun tottu su-‘inari ch’aìat futtidu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Preguntare: chiedere, domandare.
Castigadu: scemo.
Leze: legge.
Chèrfidu: voluto.
Iscrètzia: beffa.
Covaldu: codardo, vigliacco.
Remunidu: nascosto.
Fuènde: scappando.
Futtidu: fregato, ingannato, truffato.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Benito_Mussolini
Benito Mussolini (1883 – 1945) è stato un dittatore italiano. Fondatore del fascismo, fu presidente del Consiglio del Regno d'Italia dal 31 ottobre 1922 al 25 luglio 1943.
Nel gennaio 1925 assunse poteri dittatoriali e dal dicembre dello stesso anno acquisì il titolo di capo del governo, primo ministro e segretario di Stato. Dopo la guerra d'Etiopia, aggiunse al titolo di Duce quello di Fondatore dell'Impero e divenne Primo Maresciallo dell'Impero il 30 marzo 1938. Fu capo della Repubblica Sociale Italiana dal settembre 1943 al 25 aprile 1945.
Esponente di spicco del Partito Socialista Italiano, fu nominato direttore del quotidiano di partito Avanti! nel 1912. Convinto anti-interventista negli anni della guerra italo-turca e in quelli precedenti la prima guerra mondiale, nel 1914 cambiò opinione, dichiarandosi a favore dell'intervento in guerra. Trovatosi in netto contrasto con la linea del partito, si dimise dalla direzione del Avanti! e fondò Il Popolo d'Italia, schierato su posizioni interventiste, venendo quindi espulso dal partito socialista. 
Nell'immediato dopoguerra, cavalcando lo scontento per la vittoria mutilata, fondò i Fasci italiani di combattimento (1919), poi divenuti Partito Nazionale Fascista nel 1921, e si presentò al Paese con un programma politico nazionalista, sovranista e radicale.
Nel contesto di forte instabilità politica e sociale successivo alla Grande Guerra, puntò alla presa del potere; forzando la mano alle istituzioni, con l'aiuto di atti di squadrismo e d'intimidazione politica (che culminarono il 28 ottobre 1922 con la marcia su Roma), Mussolini ottenne l'incarico di costituire il governo (30 ottobre).
Dopo il contestato successo alle elezioni politiche del 1924, instaurò nel gennaio 1925 la dittatura, risolvendo con forza la delicata situazione venutasi a creare dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Negli anni successivi consolidò il regime, affermando la supremazia del potere esecutivo, trasformando il sistema amministrativo e inquadrando le masse nelle organizzazioni di partito.
L'11 febbraio 1929 stipulò i Patti Lateranensi con la Santa Sede, conclusi negli anni 80 da Bettino Craxi.
Per quanto concerne la politica coloniale, Mussolini portò a termine la riconquista della Libia (1922-1932) e intraprese poi la conquista dell'Etiopia (1935-1936), violando il diritto internazionale e causando sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni.
In politica estera sostenne e finanziò i movimenti fascisti, arrivando ad appoggiare militarmente i franchisti nella guerra civile spagnola (1936-1939). Si avvicinò alla Germania nazionalsocialista di Adolf Hitler, con il quale stabilì l'Asse Roma-Berlino nel 1936 e firmò il Patto d'Acciaio del 1939. È in questo periodo che furono approvate in Italia le leggi razziali.
Nel 1940, ritenendo ormai prossima la vittoria della Germania, decise per l'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale. In seguito alle sconfitte subite dalle forze armate italiane e allo sbarco in Sicilia, Mussolini fu messo in minoranza durante il Gran Consiglio del Fascismo (ordine del giorno Grandi del 24 luglio 1943), arrestato per ordine del Re (25 luglio) e, successivamente, tradotto a Campo Imperatore. Liberato dai tedeschi e ormai in balia delle decisioni di Hitler, instaurò nell'Italia settentrionale la Repubblica Sociale Italiana.
In seguito alla definitiva sconfitta delle forze italo-tedesche, abbandonò Milano la sera del 25 aprile 1945, dopo aver invano cercato di trattare la resa. Il tentativo di fuga si concluse il 27 aprile con la cattura da parte dei partigiani a Dongo, sul lago di Como. Fu fucilato il giorno seguente insieme all'amante Claretta Petacci.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Morte_di_Benito_Mussolini
Il cadavere di Benito Mussolini accanto alla sua amante Claretta Petacci e quelli di altri fascisti giustiziati, in mostra a Milano il 29 aprile 1945, in piazzale Loreto, lo stesso luogo in cui i fascisti avevano esposto i corpi di quindici civili milanesi l'anno prima, dopo averli eseguiti come rappresaglia per l'attività di resistenza.

Pìsciu egitziànu

Lea duos saccos: in-d’unu pone trigu,
Pagas indàttulas et rena netta;
S’àtteru-‘e orzu piéna, cun isbrigu,
Si cheres ischire sa mia alletta.
D’onzi santa die, in logu abrigu,
De fémina ràida su pìsciu betta:
Si perunu brottat at a austire,
Si brottat s’orzu, màsciu-at a bescire.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Pìsciu: pipì, urina.
Lea: prendi.
Trigu: grano.
Indàttulas: datteri.
Rena: sabbia.
Netta: pulita.
Orzu: orzo.
Isbrigu: frettolosamente, in fretta.
Alletta: pronostico, destino.
Abrigu: appartato.
Ràida: gravida, incinta.
Brottat: germoglia.
Austire: abortire.

🆂 Dal sito https://www.fenomenologia.net/curiosita/lo-scriba-egizio/
Verso il 1300 a.C. uno scriba egizio, ricopiando un vecchio papiro medico, preservò la memoria di uno strano test di gravidanza: «Per vedere se una donna partorirà, lascia che urini ogni giorno dentro due sacchi, uno di orzo e uno di grano, da riempire anche con un po’ di datteri e sabbia. Se l’orzo e il grano germoglieranno, la donna partorirà. Se germoglierà prima l’orzo, nascerà un maschio. Se germoglierà prima il grano, nascerà una femmina. Se non germoglieranno, non partorirà».
Nel 1963 lo studioso Paul Ghalioungui volle testare l’efficacia di questa antica usanza, descritta nel cosiddetto “papiro Brugsch”. Si procurò quindi numerosi semi e 48 campioni di urina, provenienti da 40 donne incinte, 6 non incinte e 2 uomini.
L’esperimento diede risultati sorprendenti: nel 70% dei casi l’urina delle donne incinte consentì al grano e all’orzo di germogliare, mentre il resto dei campioni non provocò alcun effetto. Ghalioungui concluse che il test di gravidanza egizio, pur non fornendo indicazioni affidabili sul sesso dei nascituri, fosse abbastanza valido.

Dal sito https://storiedistoria.com/2019/02/i-papiri-medici-dellantico-egitto/
Il papiro Edwin Smith, simile a quello della Grande Berlino;
entrambi fanno parte della serie relativa ai papiri medici ritrovati.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Heinrich_Karl_Brugsch
Heinrich Karl Brugsch (1827 – 1894) è stato un archeologo ed egittologo tedesco.
Collaborò con Auguste Mariette agli scavi di Menfi, in Egitto, e fu direttore della scuola di egittologia de Il Cairo; scrisse anche importanti opere come pioniere della decifrazione del demotico egizio (la scrittura semplificata dell'ultimo periodo egiziano).
Il papiro Brugsch (Pap. Berl. 3038), noto anche come il papiro della Grande Berlino,  è un importante papiro medico egiziano antico, scoperto da Giuseppe Passalacqua a Saqqara, in Egitto, e conservato al Museo di Berlino dopo l'acquisto (nel 1827) di Federico Guglielmo IV di Prussia; studiato da Heinrich Karl Brugsch, ma tradotto e pubblicato da Walter Wreszinski nel 1909.
Lo stile di scrittura è quello della XIX dinastia, ed è datato tra il 1350 e il 1200 a.C.
Il papiro contiene ventiquattro pagine di scritti, con alcuni contenuti che riguardano la contraccezione e i test di fertilità; alcuni storici ritengono che sia stato utilizzato da Galeno nei suoi scritti.
Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
Una delle ultime pose dell'archeologo Heinrich Karl Brugsch

Contu incolonnadu

Santu Pedru nos beneìghet como
Da-e chima de sa colunna traianèa,
Ma primmu de sa chijina fit domo
De s’imperadore Traiànu, sa chea.
Iscritta b’est prèiga de mementomo:
Nos contat nàschida, vida, epopèa
De romanu impèriu creschidonzu
Cando de Dàcia at fattu cariònzu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Contu: racconto.
Chijina: cenere.
Chea: carbonaia; anche avvallamento, fosso; anche tomba.
Mementomo: predica di ammonimento durante un funerale.
Creschidonzu: accrescimento.
Cariònzu: schiacciamento.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- La colonna Traiana è un monumento innalzato a Roma per celebrare la conquista della Dacia (attuale Romania) da parte dell'imperatore Traiano: rievoca infatti tutti i momenti salienti di quella espansione territoriale.
Era collocata nel Foro di Traiano e fu una novità assoluta nell'arte antica, divenendo il punto di arrivo più all'avanguardia per il rilievo storico romano.
Fu inaugurata nel 113, con un lungo fregio spiraliforme che si avvolge, dal basso verso l'alto, su tutto il fusto della colonna e descrive le guerre di Dacia (101-106), basandosi sui perduti Commentarii di Traiano e anche sull'esperienza diretta dell'artista. L'iscrizione dei Fasti ostienses ci ha tramandato anche la data dell'inaugurazione, il 12 maggio.
La colonna è cava all'interno, dove ospita una scala a chiocciola, per cui poteva essere scalata fino alla sommità e ospitava le ceneri dell'imperatore dopo la sua morte, assieme alla consorte Plotina.
Sotto papa Sisto V, nel 1587, ad opera di Domenico Fontana, si pose sulla sommità del fusto la statua in bronzo di san Pietro e fu eretto un muro di recinzione.
La colonna è del tipo "centenario", cioè alta 100 piedi romani, costituita da 18 colossali blocchi in Marmo di Carrara, ciascuno dei quali pesa circa 40 tonnellate ed ha un diametro di 3,83 metri, ed in cima vi era collocata una statua bronzea di Traiano.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_Traiana
Un particolare dei rilievi della Colonna Traiana.

- Marco Ulpio Nerva Traiano (53 – 117) è stato un imperatore romano, regnante dal 98 al 117.Valente militare e popolare comandante, venne adottato da Nerva nel 97, succedendogli due anni dopo.
Esaltato già dai contemporanei e ricordato dagli storici antichi come Optimus princeps, ovvero il migliore tra gli imperatori romani, da molti storici moderni ed esperti è considerato, in virtù del suo operato e delle sue grandi capacità come generale, amministratore e politico, come uno degli statisti più completi e parsimoniosi della storia, e uno dei migliori imperatori romani.
Egli era divenuto un importante generale durante il regno dell'imperatore Domiziano, i cui ultimi anni furono segnati da continue persecuzioni ed esecuzioni di senatori romani. Nel settembre del 96, dopo l'assassinio di Domiziano, un vecchio senatore senza figli, Nerva, salì al trono, ma si dimostrò subito impopolare con l'esercito. Dopo un anno breve e tumultuoso al potere, l'opposizione della guardia pretoriana ne aveva ormai indebolito il potere, tanto da costringerlo a difendere il suo ruolo di princeps adottando il più popolare tra i generali del momento, Traiano, e nominandolo suo erede e successore.
Nerva morì poco dopo, alla fine di gennaio del 98, lasciando a Traiano l'impero, senza tumulti e opposizioni.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_Traiana
Denario d'argento di Traiano, coniato nel 114, al termine della costruzione della Colonna Traiana.
Al dritto il busto di Traiano laureato e drappeggiato a destra.
Sul retro una veduta della Colonna Traiana, raffigurante la statua dell'imperatore sulla sommità, le due aquile alla sua base, e l'ingresso in basso.

- La Dacia era, secondo la nomenclatura geografica dell'età antica, la terra dei Geti e dei Daci e corrispondeva ad un'ampia regione dell'Europa centrale, delimitata a nord dai Carpazi, a sud dal Danubio, ad ovest dal Tibisco (odierna Ungheria) e ad est dal Nistro (attuali Moldavia e Ucraina).
Pur nella variabilità dei suoi confini, corrispondeva quindi grossomodo all'odierna Romania.
La capitale (o il centro principale) della Dacia era, dal I secolo a.C., Sarmizegetusa Regia, sostituita dalla vicina Ulpia Traiana Sarmizegetusa con la conquista romana.
Dopo la cessazione della dominazione romana sulla regione e, ancor più, dopo la caduta dell'Impero romano, la denominazione "Dacia" cadde progressivamente in disuso, lasciando il posto, nelle cronache storiche, a quelle corrispondenti a vari territori compresi tra Romania e Moldavia: Transilvania, Valacchia, etc.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_Dacia
Guerriero dace dell'Arco di Costantino, proveniente dal foro di Traiano.

Coro astraàdu

Fit una pisedda,vintidùos annos,
Chentza coro, o forsis fit de astràu,
Sa fera brunda: già nd’at fattu dannos
Et no li est de abbastu su cannàu
Pro fagher giustìscia de sos affannos
Chi at lassadu in corpus, in su cau,
A sos presoneris de cussu campu,
Ca in coro lis at fattu istampu.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Pisedda: ragazza; fidanzata.
Astràu: ghiaccio, gelo.
Fera: bestia selvatica.
Brunda: bionda.
Abbastu: sufficienza.
Cànnau: corda, fune.
Cau: midollo, anima.
Istampu: stampo, buco.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Irma_Grese
- Irma Grese (1923 – 1945) è stata una militare e criminale di guerra tedesca, guardia di numerosi campi di concentramento nazisti.
Dopo aver cercato inutilmente di diplomarsi come infermiera, fervente nazista, si arruolò volontaria nelle SS e fu trasferita come sorvegliante prima nel campo di concentramento di Ravensbruck, poi nel campo di Auschwitz e infine, con l'avanzata sovietica, nel campo di Bergen-Belsen. Fu in questo periodo che divenne una criminale di guerra per il sadismo e l'efferatezza con i quali sceglieva personalmente le persone da torturare e inviare alle camere a gas.
Tra i tanti lavori saltuari che svolse, lavorò a 15 anni come assistente infermiera in un sanatorio delle SS per due anni, senza conseguire un diploma da infermiera.
Nel 1942 fu inviata come sorvegliante nel Campo di concentramento di Ravensbrück. Avendo completato l'addestramento nel marzo 1943, fu trasferita come aufseherin (guardia) ad Auschwitz ed al termine dello stesso anno fu nominata supervisore anziano, il secondo incarico più autorevole nel campo, che rinchiudeva circa 30.000 ebree.
Nel gennaio 1945 Grese tornò per breve tempo a Ravensbrück prima che i suoi incarichi terminassero definitivamente a Bergen-Belsen, dove fu direttrice dei lavori da marzo ad aprile.
Avendo una storia d'amore con Josef Mengele, assieme sceglievano i prigionieri da utilizzare per gli esperimenti medici.
Sadica e violenta, tanto da essere soprannominata la bestia bionda, si dedicò ad ogni genere di tortura e sevizia contro i prigionieri. Secondo alcuni internati superstiti, uccise numerosi prigionieri e in altre occasioni slegò cani feroci contro di essi, stuprò alcune donne, si divertiva a frustare le prigioniere e una notte fece morire di doglie una prigioniera polacca che stava partorendo, legandole assieme le gambe per mantenerle chiuse.
Fu catturata dall'esercito britannico il 17 aprile 1945, insieme ad altri membri delle SS che non erano riusciti a scappare.
Processata a Lüneburg da un tribunale militare britannico nel processo di Belsen, dal 17 settembre al 17 novembre 1945, fu impiccata come criminale di guerra a 22 anni, senza che avesse mai dato segni di pentimento o di abiura verso la fede nazionalsocialista.

Dal sito https://www.blmagazine.it/irma-grese-la-bestia-di-belsen
Alcuni prigionieri del campo di concentramento di Auschwitz

Rodas

1.
Si no aìsti-‘inari, fit mala cosa
Cando su fruttu de s’amore naschìat.
Destinu fit vida difficultosa
Et sa cusciénscia male cunsizaìat:
A sas fizas vida ignominiòsa
Et a sos màscios impoddas lis daìant,
Bendéndelos, pro pagu, a furisteris,
In tempos romanos, primmu de deris.

2.
Federicu de Svevia, su segundu,
Cando stupor mundi est diventadu,
At detzisu chi su fruttu fecundu
Cun bonas lezes cherìat reguladu.
Tando, cun tottu sos sàbios in tundu,
Custa fea usàntzia at abrogadu:
At fattu nascher gai sas oblasciònes,
Chi de fizos faghìant donasciònes.

3.
Da-e tando, cunventos si sunt dotados
De rodas, pro arrumbare criadura.
Destinos de fizos gai sunt mutados:
Prus pagu s’est bida s’ischirriadura.
Podìant benner a esser avvocados,
O de méigos sighire sa figura.
Puru su sambinadu lis daìant
Sos padres o sas monzas chi los retzìant.

4.
In Nàpoli fint de sos Espòsitos,
Ca da-e Ispagna fit gai boltadura.
In Firenze, a custos impòsitos,
Innotzentes, ca fit gai sa natura.
In logu, a Milano, depòsitos,
De Columbu leaìant nominadura.
Proiétti, Ventura o De s’Iscala:
Fint tottu numen’ chi faghìant antala.

De Enne Enne o Emme ignotta,
Cando cussa mama no fit connotta.
 
🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Rodas: ruote.
'Inari: o dinari, soldi.
Naschìat: nasceva.
Màscios: maschi.
Impoddas: fatica, affanno, travaglio.
Bendendelos: vendendoli.
Furisteris: forestieri, stranieri.
Deris: ieri.
Cherìat: voleva.
Sàbios: saggi.
Fea: brutta.
Fizos: figli.
Arrumbare: appoggiare, addossare; proteggere, sostenere.
Criadura: bambino, neonato.
Bida: vista, notata.
Ischirriàdura: separazione, allontanamento.
Sambinadu: cognome.
Monzas: suore.
Boltadura: traduzione.
Impositos: usanza, costume, abitudine.
In logu: invece.
Antala: protezione, difesa.
Connotta: conosciuta, nota.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki
- La ruota degli esposti era una bussola girevole di forma cilindrica, di solito costruita in legno, divisa in due parti: una rivolta verso l'esterno e una verso l'interno. Attraverso uno sportello, era possibile collocare gli esposti, cioè i neonati abbandonati, senza essere visti dall'interno. Facendo girare la ruota, essa andava a combaciare con un'apertura all'interno, dove lo sportello veniva aperto e al neonato potevano essere assicurate le cure necessarie.
Spesso vicino alla ruota vi era una campanella, per avvertire chi di dovere di raccogliere il neonato, ed anche una feritoia nel muro, una specie di buca delle lettere, dove mettere offerte per sostenere chi si prendeva cura degli esposti. Per un eventuale successivo riconoscimento da parte di chi l'aveva abbandonato, al fine di testarne la legittimità, venivano inseriti nella ruota assieme al neonato monili, documenti o altri segni distintivi.
Nell'antichità abbandonare figli indesiderati era uso alquanto diffuso presso diverse popolazioni. Gli ebrei ad esempio ne vietavano l'uccisione ma permettevano l'abbandono o la vendita degli illegittimi. La Grecia considerava legale l'infanticidio e l'abbandono. Presso i romani, al padre che non riconosceva il figlio come proprio sollevandolo da terra (da qui il termine allevare) era consentito portarlo alla columna lactaria esponendolo alla pietà di chi passava e più spesso alla sorte di morire di fame o essere fatto schiavo.
La condizione degli esposti cambia con l'avvento del Cristianesimo. L'imperatore Costantino sancisce nel 315 che una parte del fisco sia utilizzata per il soccorso degli infanti abbandonati e per i figli delle famiglie povere. Nel 318 una legge prevede la pena di morte per l'infanticidio ma non sanziona chi vende i propri figli. Soltanto nel VI secolo Giustiniano punirà l'abbandono considerandolo come infanticidio.
La prima ruota compare in Francia, nell'ospedale dei Canonici di Marsiglia nel 1188 e poco dopo ad Aix-en-Provence e a Tolone.
In Italia, secondo la tradizione, Papa Innocenzo III, turbato da ricorrenti sogni in cui gli apparivano cadaveri di neonati ripescati dalle reti nel Tevere, istituì una ruota nel 1198 nell'ospedale di Santo Spirito in Sassia.
Le ruote presero a diffondersi oltre che in Italia e Francia anche in Grecia e Spagna mentre non si hanno notizie di altrettanti strumenti per gli esposti in Inghilterra dove l'abbandono dei neonati e l'infanticidio non venivano affatto considerati un problema sociale, tanto che comunemente si trovavano cadaveri di feti o di neonati nelle discariche o nelle fogne.
In Italia con l'influenza francese del napoleonico Regno Italico sul Regno di Napoli, la Rota proiecti venne ufficialmente istituita anche nei comuni dell'Italia meridionale, per la tutela pubblica dell'infanzia abbandonata. Una ruota degli esposti era in realtà già presente a Napoli: quella della Santa Casa dell'Annunziata, di cui esistono documenti d'immissione risalenti al 1601.
Nel corso del XIX secolo a causa dell'aumento demografico che aveva portato in poco tempo la popolazione europea da 100 a 200 milioni di abitanti, si cominciò a mettere in discussione la validità dell'istituzione della ruota, che riversava sulle casse pubbliche il problema del sostentamento di famiglie numerose, poiché spesso venivano affidati all'assistenza pubblica anche figli legittimi.
Emblematico è il caso di Milano. Il fenomeno, a metà Ottocento, assunse grande rilevanza. Tra il 1845 ed il 1864 vennero abbandonati nella Pia Casa degli Esposti e delle Partorienti  85000 bambini, con una media di 4 trovatelli all'anno. Si trattava del 30% circa dei bambini nati in città. Le famiglie operaie infatti, non riuscivano a mantenere più di quattro o cinque figli alla volta e ogni nuova nascita era un problema per l'economia familiare, anche perché spesso le donne operaie lavoravano e non avevano molto tempo da dedicare alla cura dei bambini piccoli.
Questo fenomeno creò una accentuazione della fecondità delle donne milanesi, in particolare operaie. Infatti, dati gli effetti frenanti alla fecondità creati dall'allattamento, in assenza di contraccettivi, le donne, abbandonati i figli, divenivano immediatamente pronte per una nuova gravidanza. Così le operaie milanesi, a metà Ottocento, partorirono in media tredici figli, contro gli otto della media nazionale.
Questa dinamica era comune a diverse grandi città. Basti pensare che nei quartieri operai e poveri di Napoli, nei primi anni ottanta dell'Ottocento, si sfiorava una natalità del 50‰, contro una natalità nazionale del 38‰.
In Francia e in Italia, dove venivano abbandonati ogni anno dai trenta ai quarantamila neonati, si cominciò a considerare l'idea di abolire la ruota, anche per le miserevoli condizioni dei brefotrofi dove morivano per stenti la maggior parte degli esposti.
La prima città in Italia a chiudere la ruota fu Ferrara nel 1867, seguita a mano a mano da altre città in tutto il corso dell'Ottocento, sino alla completa abolizione nel 1923 con il Regolamento generale per il servizio d'assistenza agli Esposti emanato dal primo governo Mussolini.
La legge italiana prevede il diritto alle donne di partorire in anonimato, di essere assistite in ospedale e di non essere perseguite se decidono di non riconoscere il figlio. I tribunali italiani non possono cercare di identificare il padre naturale mentre, per il diritto del neonato ad avere una famiglia, possono dichiararne lo stato di abbandono e mettere in atto le procedure per la sua adottabilità. Tuttavia, a differenza dell'Italia, alcuni Paesi dell’Europa continentale (Germania, Svizzera, Olanda e Spagna) riconoscono il diritto dell’adottato adulto di accedere alle proprie origini familiari e genetiche.
Malgrado le garanzie offerte dalla legge si verificano numerosi casi di abbandono neonatale, causati spesso dallo stato di clandestinità dei genitori, che temono di essere scoperti e rimpatriati, oltre che dalle loro condizioni economiche e sociali che non permettono di allevare i figli.
Da questa situazione è nata la necessità di ripristinare nuovamente la ruota degli esposti, in forme più avanzate dal punto di vista tecnologico e sanitario. Il 6 dicembre 2006 presso l'ospedale Policlinico Casilino di Roma ha preso a funzionare un presidio denominato Non abbandonarlo, affidalo a noi. Come le antiche ruote, il presidio fornisce assistenza e soccorso ai neonati abbandonati, garantendo riservatezza e anonimato alle madri che, per ignoranza o per altri motivi, non vogliano affidarsi alle garanzie offerte dalla legge.
Cognomi come Diotaiuti, Diotallevi, Sperandio, Degli Esposti, Esposti, Trovati, Trovatelli, Incerti, Innocenti, Proietti ed altri appartengono ai cosiddetti trovatelli.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Ruota_degli_esposti
La ruota degli esposti allo Spedale degli Innocenti, a Firenze

- Con la legge ius vendendi (una delle tante contenute nella Legge delle Dodici Tavole del 450 a.C.), il pater familia romano aveva il diritto di vendere i propri figli per guadagnarci. Soltanto con l'avvento di Federico II di Svevia questa legge venne abolita in tutto il territorio del suo impero, vietando di vendere le figlie femmine per la prostituzione.
- Federico Ruggero di Hohenstaufen (1194 – 1250) è stato re di Sicilia, duca di Svevia, re dei Romani e poi Imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme; apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen e discendeva per parte di madre dai normanni di Altavilla, conquistatori della Sicilia e fondatori del regno omonimo.
Conosciuto con l'appellativo stupor mundi, Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. 
Il carisma di Federico II è stato tale che all'indomani della sua morte, il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello Corrado IV citava tali parole: "Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l'asilo della pace".
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa moralizzatrice e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Ebbe infatti ben due scomuniche dal papa Gregorio IX, che arrivò a vedere in lui l'anticristo.
Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte in Sicilia fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì nell'isola e nell'Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un'amministrazione efficiente.
Federico II parlava sei lingue e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La sua corte reale imperiale siciliana a Palermo, dal 1220 sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una lingua romanza (dopo l'esperienza provenzale), il siciliano.
La poesia che veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La Scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l'uso dell'idioma toscano come lingua d'élite letteraria d'Italia.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_II_di_Svevia
Federico II ed il suo falco, dal suo trattato De arte venandi cum avibus (L'arte di cacciare con gli uccelli), conservato nella Biblioteca Vaticana, fine XIII secolo.

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