Chercu 'etzu

Pro Alcide Cervi

Bindi l’at fattu unu bellu-iscrittu
Cando Medàllia de-Onore l’ant dadu
Pro aer frantu da-e su coro s’attitu,
Pro aer meda Partigiànos aggiuàdu.
Parìat chi sa vida l’aìat beneìttu,
Fièru de sos ch’aìat sacrificadu:
Pensade chi l'ant mortu sette fizos,
Pro tottu vittimas de martirizos.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Chercu: quercia.
Frantu: allontanato.
Coro: cuore.
Attitu: piagnisteo.
Meda: molti.
Aggiuàdu: aiutato.
Parìat: sembrava.
Beneìttu: benedetto.
Aìat: aveva.
Mortu: ucciso.
Fizos: figli.
Martirizos: torture.

Dal sito https://www.collettiva.it
Alcide Cervi

🆂 Dal sito https://www.collettiva.it
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1970 si spegne un uomo divenuto simbolo della Resistenza.
Contadino e partigiano, sopravvissuto alla prigione e allo sterminio dei suoi sette figli, spese l'intera esistenza a lottare perché il loro sacrificio non fosse stato vano.
La storia dei fratelli Cervi è la storia di un'esemplare famiglia italiana. Il nonno si chiamava Agostino, e fu uno dei capi della rivolta contro la tassa sul macinato nel 1869. Suo figlio, Alcide, aderirà giovanissimo al Partito Popolare ed alla Resistenza. Partigiani saranno anche i 7 figli di Alcide: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Il 26 luglio 1943, il giorno dopo le dimissioni di Benito Mussolini da capo del governo, la famiglia offrirà un pranzo a base di pasta a tutto il paese di Gattatico, per festeggiare. A raccontare quella prima pasta antifascista, condita con burro e formaggio, è lo stesso Alcide Cervi nel suo libro, pubblicato nel 1955 e tradotto in 9 paesi, I miei sette figli:
«Il 25 luglio» - scrive papà Cervi - «eravamo sui campi e non avevamo sentito la radio. Vennero degli amici e ci dissero che il fascismo era caduto, che Mussolini era in galera. Fu festa per tutti!». È Aldo, il terzogenito, che gli fa la proposta. «Papà» - gli dice - «offriamo una pastasciutta a tutto il paese». Ed Alcide accetta.
«Facemmo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitarono nelle case intorno alle caldaie; ci fu un grande assaggiare, per verificare la cottura, ed il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le ragazze e dicevo: “Beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica”».
Di lì a cinque mesi i suoi 7 ragazzi avrebbero invece perso la vita, fucilati dai fascisti, esposti alle rappresaglie delle camicie nere, probabilmente anche per colpa di quella pastasciutta, più potente di un manifesto politico.
Verranno arrestati il 25 novembre e incarcerati nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Rimarranno prigionieri fino alla mattina del 28 dicembre, quando saranno fucilati per rappresaglia.
Il papà Alcide, loro compagno di cella fino a quel 28 dicembre 1943, rimarrà prigioniero fino al gennaio dell’anno seguente, quando il carcere verrà bombardato dagli alleati. Tornato a casa, rimarrà ignaro di quello che era accaduto ai suoi figli per tutti i giorni della sua convalescenza. “Dopo che avevo saputo” - dirà – “mi venne un grande rimorso. Non avevo capito niente e li avevo salutati con la mano, l’ultima volta, speranzoso che andavano al processo e gliela avrebbero fatta ai fascisti, loro così in gamba e pieni di stratagemmi. Ed invece andavano a morire. Loro sapevano, ma hanno voluto lasciarmi l’illusione, e mi hanno salutato sorridendo; con quel sorriso mi davano l’ultimo addio”.
Venuto a sapere dell’eccidio, papà Cervi riuscirà a ritrovare le tombe dei sette ragazzi solo tempo dopo. Dirà il giorno dei funerali, che si svolsero il 25 ottobre del 1945, quasi due anni dopo la loro morte: “Dopo un raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti… I miei figli hanno sempre saputo che c’era da morire per quello che facevano e l’hanno continuato a fare, come anche il sole fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte. Così lo sapevano i tanti partigiani morti, e non si sono fermati davanti alla morte. E ora essi sono con noi in questa terra di Emilia, dove le viti si abbracciano alle tombe, dove un lume e un marmo è la semente di ogni campo, la luce di ogni strada”.
Per il suo impegno partigiano e per quello dei suoi figli gli sarà consegnata la medaglia d’oro realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca l’effigie di Alcide e dall’altro un tronco di quercia tra i cui rami spezzati brillano le sette stelle dell’Orsa.
"Mi hanno sempre detto” - dirà nell’occasione della consegna – “Tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta. La figura è bella e qualche volta piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”.
La motivazione della consegna la scrisse il partigiano Bini (Giovanni Serbandini, fondatore assieme ad Aldo Bisagno Gastaldi, della Brigata e Divisione Garibaldi):

Come la Resistenza hai resistito,
Vecchia Quercia,
Che i tuoi sette rami
Gagliardi d’avvenire
Opponesti alla nera tempesta,
Tutti e sette insieme
In un’alba solo stroncati.
Come la Resistenza hai resistito,
Perché oggi i ragazzi italiani,
Sopra il tuo tronco nodoso,
In uno squarcio libero di cielo
Vedano
Sette stelle d’argento.

Le esequie di Alcide Cervi si svolsero a Reggio Emilia e furono un evento nazionale. Oltre 200.000 persone affolleranno le strade e la piazza dell’ultimo saluto. Gli rendono omaggio tutte le grandi personalità della politica e delle istituzioni legate alla storia antifascista, ma anche tanta, tantissima gente comune.

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