Pelèas: S'immàriu

In su muru mànchinu, de confine,
B’est unu bòidu, chi fit una janna:
Tenet s’architrave tzertu no fine
De pedra-’e trachite, piccada, manna.
Intro b’amus postu, de linna-affine,
Tres mensoleddas de guàsi un’ispanna
Pro setzer trastes delicados meda
Pro chi no s’isfascent, chi mai sutzeda’(t)!

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php

Immariu: armadio a muro.

Mànchinu: sinistro, mancino.

Bòidu: vuoto.

Janna: porta.

Piccada: intagliata, lavorata.

Manna: grande.

Linna: legno, legna.

Setzer: sedere.

Trastes: oggetti, utensili, arnesi.

Isfascent: sfascino.

©suigante.

Dall'archivio del Centro Culturale "Su 'Igante"

Un particolare del museo etnografico "Domo Salaris"

CENTRO CULTURALE "SU 'IGANTE"

Recuperando una casa dei primi del ‘900, l'ho adattata al mio scopo, avvolgendola di polvere, ruggine e tarme, costringendola ad ospitare un museo. Ma non uno di quelli con le etichette ed il vietato toccare. No, il mio è un museo umano, fatto con attrezzi ormai in disuso che, però, hanno ancora addosso la vitalità di chi li ha posseduti, amati, utilizzati fino all’osso, sacrificando magari un pasto per il loro acquisto. Non sono io il proprietario di quegli oggetti, di quei documenti o di quelle foto. Apparterranno sempre a chi vi ha lasciato sopra del sudore, pregando, bestemmiando, sorridendo e persino piangendo utilizzandoli. Io non faccio altro che esporre ai pubblici sentimenti la loro storia. La loro polvere. La loro ruggine. La loro disperazione. Sì, proprio così. Oggi sono in grado di affermare che senza la disperazione che solo la fame sa far affiorare, quegli oggetti non avrebbero un significato. Sarebbero soltanto vecchi pezzi di ferro, avvolti nella polvere degli anni, a volte di un secolo. Ma se fossero solo questo, non creerebbero sgomento in chi li ammira. Non provocherebbero meraviglia. Non farebbero riaffiorare ricordi. Invece, appena qualcuno, magari un po’ avanti con gli anni, li rivede, istantaneamente ricorda ciò che per lui hanno rappresentato. Ciò che realmente significano. La fatica di dover riempire sa misura de s’olia raccogliendole direttamente da terra, più volte durante la giornata. La scrupolosità del fornaio che apparìnat su trigu in sa carritta, per non regalarne al contadino. Il rumore assordante de su frailarzu, mentre batteva il suo pane sull’incudine; o del calzolaio che modellava la sua minestra ‘e basolu nelle forme da scarpa. Tutto ciò mantiene ancora vivi quegli oggetti. Per non parlare delle foto. La fotografia è probabilmente fra tutte le forme d'arte la più accessibile. Può registrare volti o avvenimenti, oppure narrare una storia. Può sorprendere, divertire ed educare. Può cogliere e comunicare emozioni e documentare qualsiasi dettaglio con rapidità e precisione. Le fotografie hanno la capacità di raggiungere l'eternità attraverso il momento. Ma si può anche mentire con le fotografie. Possono rappresentare un attimo di rilassamento in un contadino esausto e bruciato dal sole. Per esempio. Possono ritrarre i volti felici di un gruppo di persone ad una manifestazione del ventennio, tralasciando la disperazione che portano le false libertà. Per esempio.

Pelèas

S'immàriu

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