Campu iscelleradu

1.
Una prutzessiòne mortale et trista
Benìat da-e sa domo de sas Vestales,
In mesu de su Foru politeìsta,
Pighende in caminu de triunfales,
Chi lompet a sa ‘e Quirinu crista
Da-e janna de Montijos antigales.
A su Scelestu Campu fit andende
A sa dresta de s’intrada giumpende.

2.
Sas Vestales bintraìant da-e criaduras
In su satzerdotale ministériu.
Da-e sos ses annos, sas abbamaduras
Finìant a baranta, cun mannu-addériu.
Tevìant frimmàresi castas et puras
Pro mantenner su giustu cuntemplériu.
Sa pena mala fit ruer in s’ispiòcca,
Imboladas da-e s’alta Tarpéa rocca.

3.
In cust’accumpagna lari-cusida
S’intendìant solu sas sacras litanìa’.
In-d’un’àndia, da-e s’oju remunida,
Bi fit issa, pro mancada ‘ajanìa,
Cundennada a finire sa vida
Primmu d’esser libera, in s’antzianìa,
Da-e votos chi-àttere l’aìant impostu
Chentza nde aer perunu accunostu.

4.
In annos sa cundenna ant cambiadu:
De interrare bia aìant detzisu
S’infame satzerdota ch’at erradu,
Ch’at tzédidu a su-‘e carre accisu.
Nùmenes in pabilu ant cottadu
Su scriba no nd’at fattu-unu pispisu:
Minùtia, Òppia, Cornélia, Pinarìa
Et Sextìlia ant fattu algararìa.

5.
Satzerdotte piedade invocaìat
Mentras ch’issa no benìat abbaidada.
A oru de-iscala l’accumpagnaìat,
Atteros a cara daìant girada.
In sas chentinas sa càmera tenìat:
Lettu, candile, una mandigada
De pane, abba, latte et de ozu;
Finas a morte fit su sou allozu.

6.
Pedra manna et terra meda ponìant
Pro sizigliàre s’intrada de s’aéra.
Sos abbònios o iscumpròos no balìant,
Mancari innocéntzia professera’.
Sas cundennas appellu no bi tenìant,
Ma Màxima Cornélia, cunsidéra
Est bistada s’ùltima cundennada
Ca Domiziàno già l’aìat sailvada.

🆅 Dal sito http://vocabolariocasu.isresardegna.it/lemmi.php
Montijos: colli, colline.
Scelestu: scellerato.
Abbamadura: l'atto di unire in branco.
Addèriu: fretta, impazienza.
Cuntemplèriu: contemplazione.
Ispiòcca: rovina; andare a s'ispiòcca, rovinarsi.
Àndia: barella, portantina, bussola, trono portatile, specialmente quello che s’adopera per portare i santi in processione. Anche esaltare, magnificare, trattare con venerazione.
Accunostu: conforto, consolazione, rassegnazione; anche la visita che si compie alla famiglia del defunto, dopo il funerale. Anche il pranzo funerario.
Accisu: incanto.
Cottadu: assicurare, fermare con biette o zeppe.
Pispisu: anche pissi pissi, bisbiglio.
Algararìa: putiferio.
Candile: lucerna, lanterna, lume.
Abbònios: bonificamenti, miglioramenti; anche difese, scuse.
Iscumpròos: prove, esperimenti.

🆆 Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/
- Le vestali erano sacerdotesse consacrate alla dea Vesta. A Romolo, primo re di Roma, o al suo successore, Numa Pompilio, è attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la creazione delle vergini sacre a sua custodia, chiamate vestali.

Dal sito https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6d
Statua di una Vestale, in mostra a Palazzo Braschi, Roma.

- La Porta Collina era una porta nelle Mura Serviane di Roma, distrutta a fine XIX secolo, da cui uscivano le vie Nomentana e Salaria.
- Il colle Quirinale è uno dei sette colli su cui venne fondata Roma. Il suo nome deriva dal dio Quirino, divinità delle attività pacifiche e degli uomini liberi.
- La rupe Tarpea è la parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio a Roma, dalla quale venivano gettati i traditori condannati a morte, che in tal modo venivano simbolicamente espulsi dall'Urbe. Si tratta di un colle di tufo che ospita diverse aree verdi, come per esempio il Giardino Belvedere di Villa Tarpea

Dal sito https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/24/Campitelli
La rupe Tarpea, come appare oggi.

🆂 Dal sito https://storia-e-mito.webnode.it/products/il-campo-scellerato-ovvero-la-tomba-delle-sepolte-vive/
Il Campo Scellerato era un luogo lungo la strada selciata di Porta Collina dove le Vestali ree di inadempienza al proprio voto di castità venivavo sepolte vive.
La prima di queste sventurate, sotto re Tarquinio Prisco, accusata di aver attentato alla propria virtù, fu la nobile Pinaria, figlia di Publio. Seguì Minuzia, la quale attirò i sospetti su di sé per la cura eccessiva che dedicava alla propria persona. Ad accusarla fu uno schiavo e non le fu possibile dimostrare la propria innocenza.
Nella guerra di Roma repubblicana contro i Volsci, la sorte era decisamente sfavorevole a Roma e si disse che gli Dei erano insoddisfatti e corrucciati ed esigevano sacrifici.
Si pensò subito alla condotta delle sacerdotesse di Vesta: molte delle disgrazie che piovevano sulla città venivano loro attribuite. Qualcuno mise in giro la voce che la responsabilità era proprio di una delle Vestali: Oppia, colpevole di aver oltraggiato la sua virtù con due uomini. Sottoposta a giudizio e condannata, la ragazza fu sepolta viva e i due presunti colpevoli, uccisi a colpi di verghe.
Stessa sorte toccò ad un’altra Vestale, la giovane Urbinia, questa volta durante la guerra di Roma contro Veio. Poiché in città e nelle campagne donne e bambini si ammalavano e morivano di morti sospette, la pubblica attenzione si concentrò una volta ancora sulla Casa di Vesta e sul comportamento delle sue Sante Figlie. Ad essere accusata di non aver rispettato il giuramento di verginità fu, questa volta, la povera Urbinia ed anche lei conobbe l’orribile sorte di essere sepolta viva in quella fossa infame.
Anche per i due presunti colpevoli non ci fu scampo: processo e condanna a morte.
Altre quattro Vestali furono riconosciute colpevoli e condannate, ma tutte preferirono darsi morte piuttosto che affrontare il ludibrio di un processo e una morte orribile: Lanuzia, accusata da Caracalla, che si gettò dal tetto della sua casa; Tuzia che, accusata di aver avuto rapporti con uno schiavo, si trafisse con un pugnale; Gapronia che si strangolò e Opimia che scelse il veleno; Florania, invece, non riuscì a sfuggire alla terribile sorte.
Non mancarono casi di Vestali condannate nonostante la comprovata innocenza, come nel caso della bella e giovane Clodia Leta e la nobile Aurelia, le quali preferirono affrontare il martirio piuttosto che cedere alle offerte libidinose del loro accusatore: l’imperatore Caracalla.
Innocente era anche la bella Cornelia, ai tempi di Domiziano il quale, respinto, l’aveva accusata di aver attentato alla propria virtù con un certo Celere. Non potendo sostenere le accuse in Senato, l’imperatore l’accusò in un improvvisato tribunale allestito in una casa di campagna senza dare alla povera ragazza possibilità alcuna di discolparsi e difendersi.
Riconosciuta colpevole, l’infelice Cornelia fu condannata e condotta sul luogo del supplizio. Qui, mentre scendeva i gradini che la portavano in fondo alla fossa, il mantello si impigliò. Il Littore fece l’atto di tendere una mano per aiutarla, ma Cornelia lo respinse per non contaminarsi e dimostrare di possedere ancora la propria virtù e purezza. Non ancora soddisfatto da questa condanna, Domiziano fece uccidere con le verghe anche il povero Celere, del tutto estraneo a quei fatti.
Singolare é la storia di altre tre infelici: Marzia, Licinia ed Emilia, Vestali ai tempi della Repubblica.
Marzia aveva una relazione amorosa con un giovane di buona famiglia che durava già da qualche tempo quando fu accusata; Lucio Metello, il Pontefice Massimo, si lasciò impietosire dalla loro storia d’amore e graziò la ragazza.
Sempre sotto il suo Pontificato, altre due Vestali, Licinia ed Emilia, vennero meno ai loro voti di castità concedendosi l’una al fratello dell’altra. Scoperte e accusate da uno schiavo, un certo Manius, comparirono davanti al tribunale, ma solo Emilia fu condannata, perché accusata anche di aver intrattenuto relazione illecita con alcuni schiavi per evitare denuncia da parte di quelli.
Il popolo romano, però, assai bigotto avremmo detto oggi, riguardo la virtù delle proprie Vestali, si mostrò assai scontento di quelle assoluzioni e pretese un nuovo processo.
Questa volta le tre infelici ragazze vennero tutte condannate e con esse anche quelli che le avevano protette e in qualche modo sostenute.

Dal sito https://it.wikipedia.org/wiki/Vestali#/media/File:60_foro_verso_arco_di_titol.JPG
Resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano

🅻 Licenza poética.
Appo mudadu su numene de sa vestale Tùccia (o Tùzia) in Maxima Cornélia, pro fines esclusivos de poética.
Tùzia est bistada una vestale romana, protagonista de un avvenimentu contadu da-e Tito Lìviu et Dionigi de Alicarnasso.
Sende ‘istada ingiustamente accusada de aer mancadu a su votu de puridade, sa vestale at preguntadu de poder proàre s’innocéntzia sua, lèende parte a una ordalìa (giudìsciu divinu cun proas malas o cun duéllos), in sa cale tentaìat de leàre s'abba de su Tévere cun-d’unu sedattu. Tùccia at pedidu ajudu a sa dea Vesta et sa proa, nachi, l’est reséssida, mustrende s’innocéntzia sua.

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